Movimento Indigeno

Letture per accrescere se stessi...

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guy..
view post Posted on 7/12/2009, 22:23




Volevo aprire una discussione su dove inserire una serie di letture importanti per la propria evoluzione..la propria crescita personale....

Semplicemente qui inseriremo solo i titoli, eventuali link e una breve descrizione della lettura...



The matrix. una parabola moderna

Questa è una lettura che consiglio a tutti...Tutti credo abbiamo visto almeno il primo film della trilogia di Matrix...
Bene..
QUa c'è un libro che rivisita in una chiave diversa il film...
Seguendo quella linea che molti hanno intuito, quelle lezioni sottili nascoste dietro la pellicola...
dal Sito :

"the matrix", una parabola moderna e' il titolo di un libro, un libro che parla della trilogia di "the Matrix" dei fratelli Wachowsky. Una ri-lettura della pellicola attraverso le chiavi di tutti i tempi della conoscenza dell’uomo. Non un film di fantascienza od un cyber thriller, come e' stato descritto, ma un vero viaggio interiore nella profondita' della nostra psiche, negli abissi psicologici come lo e' l'odissea di Ulisse, il dramma di Perseo o la Divina Commedia di Dante Alighieri.

ecco il link al sito... http://www.thematrixrw.webs.com/MatrixLibro.htm
buona lettura...
 
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view post Posted on 29/1/2012, 21:52

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poche parole ma....

"VOSTRA MADRE"

Visualizzatela nello spazio davanti a voi, e pensate: "E' stata mia madre
nel corso di tutte le mie esistenze, da tempi immemorabili. Mi ha sempre
dimostrato la bonta' di una mamma, e ancora continua a farlo. In particolar
modo in quest'incarnazione, mi ha concepito nel suo ventre. Allora mi
proteggeva con cura in tutti i modi possibili, sopportando ardue prove, come
regimi alimentari speciali e un rigido sistema di vita, unicamente per il
mio benessere.

La mia nascita le ha causato un pesante dolore. Eppure, quando sono apparso,
piu' simile a un verme di terra, rosso e viscido, che a un essere umano, lei
mi ha accolto tra le sue braccia tenere e mi ha posato sul suo corpo per
darmi calore. Piu' tardi, nel corso di tutta l'infanzia, lei mi ha nutrito,
lavato e curato con attenzione.

Mi ha procurato cibo quando avevo fame, da bere per placare la sete, e abiti
quando avevo bisogno di proteggermi dagli elementi. Si e' davvero occupata
di me a costo di immensi sacrifici personali. Mi ha dotato del dono prezioso
che e' la vita umana, offrendomi cosi' la coppa in grado di raccogliere gli
insegnamenti spirituali necessari per progredire nella Triplice Via,
costituita dallo studio, la contemplazione e la meditazione, mezzi grazie ai
quali si possono raggiungere la Liberazione e l'Illuminazione onnisciente.

Lei si sarebbe ammalata piuttosto di lasciarmi in preda alle affezioni e
avrebbe dato la vita per salvare la mia. In fondo, ha utilizzato tutte le
sue doti a mio solo beneficio.

" Ciascuno dovra' meditare cosi', al punto di essere sommerso da un profondo
sentimento di riconoscenza. Quando sara' il momento, sostituite l'immagine
di vostra madre con quella di vostro padre. Meditate, pensando che anche lui
sia stato come una madre per voi, in numerose vite anteriori, e che vi abbia
allora prodigato tutta la sua dedizione. Poi, modificate questa presenza
sostituendola con amici, conoscenti, nemici e infine con tutti gli altri
esseri viventi. Meditate sull'idea che vi abbiano rivolto tutti, in molte
vite anteriori, l'immensa bonta' di una madre.

Le parole del "Quinto Dalai Lama"


Fondamenti della Filosofia Esoterica

di Cinzia Pollastrini

La Dottrina Segreta si basa su concezioni che appartengono alla Filosofia
Esoterica, denominata anche Scienza Occulta. E' bene chiarire, prima di
addentrarci nell'argomento, la differenza fra esoterismo ed occultismo:

- esoterismo, studio delle leggi dell'universo.

- occultismo, conoscenza ed utilizzo delle leggi dell'universo. Nota:
L'occultista per essere tale deve anche essere esoterista poiché gli è
necessaria la conoscenza delle leggi per poterle poi applicare.

Il motivo per cui ho svolto questo piccolo studio utilizzando la Dottrina
Segreta non è solo perché è inerente ai nostri studi teosofici ma,
soprattutto, perché è uno dei testi esoterici più completi in quanto
fornisce una sintesi dei fondamenti della Filosofia Esoterica, proveniente
dalla comparazione di religioni, filosofie e scienze, appartenenti a culture
diverse e ad epoche diverse, esponendola in modo lineare attraverso le 4
idee di base della Teosofia:

1 - L'unità fondamentale di tutta l'esistenza (l'esistenza è una cosa, non
l'unione di cose unite fra loro). Fondamentalmente c'è un Essere Assoluto
nella sua manifestazione primaria, vale a dire non c'è nulla all'infuori di
Lui. In esso c'è un aspetto positivo, o spirito; e un aspetto negativo, o
coscienza. Esso è la Realtà in ogni forma esistente sia l'Atomo, l'Uomo o il
Dio, separatamente o collettivamente, Egli è la Reale Individualità.

2 - Non esiste materia morta, ogni atomo di sostanza, di qualsiasi piano, è
in sé stesso una Vita; è fondamentalmente l'Essere Assoluto.

3 - L'Uomo è il Microcosmo, ragione per cui tutte le Gerarchie Celesti
esistono in lui; macro e microcosmo sono distinti, in quanto visti da una
coscienza limitata, in realtà sono l'Esistenza Una.

4 - L'Esterno è come l'Interno, il Piccolo è come il Grande, ciò che è in
Basso è come ciò che è in Alto. Non c'è che Una Vita e Una Legge e Colui che
la mette in azione è Uno.

Nulla è Interno, nulla è Esterno; nulla è Grande, nulla è Piccolo, nulla è
Alto, nulla è Basso nell'Economia Divina

In merito alla prima idea di base, la Dottrina Segreta, indica un'unica
legge fondamentale che consiste nell'identificare "L'unità radicale
dell'energia ultima di ogni parte costituita dai composti della Natura,
dalla stella all'atomo minerale, dal più elevato Dhyan Chohan, al più
piccolo infusorio, nell'intera accezione della parola e quale si applica ai
mondi spirituale, intellettuale o fisico."

Tale concetto è importantissimo per qualsiasi studio esoterico si voglia
affrontare, poiché ci estranea dall'idea di separazione, che mostra
indubbiamente l'aspetto exoterico e rende quindi inutile qualsiasi sforzo
nello studio.

Infatti, il concetto che tutto sia determinato dal Principio della Causa
senza Causa, immediatamente apre alla comprensione dell'esistenza di un
Assoluto, Incondizionato, Eterno ed Immutabile e di una esistenza ad esso
relativa, condizionata, per così dire Finita.

Tenendo presente questo, la nostra mente può concettualmente ed
intuitivamente entrare in contatto con qualsiasi oggetto appartenente alla
manifestazione consapevole della relatività dell'oggetto stesso, facilitando
così il distacco necessario a rimanere nella posizione dell'osservatore, per
il quale è essenziale annullare qualsiasi condizionamento.

Sappiamo infatti che l'approccio allo studio, sia di noi stessi che di un
fenomeno, deve essere privo di identificazione con esso; a tutti noi è
capitato di dover comprendere qualcosa che ci ha estremamente coinvolto e
non essere riusciti a farlo finché non ce ne siamo distaccati, cercando di
osservare la cosa dal di fuori.

Azione ardua come ci fa notare la 4a idea, che suona in questo frangente
quasi come un ammonimento: non c'è fuori e non c'è dentro!

Allora in quale dimensione mi trovo quando mi pongo al di fuori di un
problema?

Ne sono veramente fuori?

Di quali e quanti inganni è capace la mia mente inferiore; posso arrivare a
conoscerla tanto da individuarne i limiti in maniera definita?

Lo studio esoterico deve portarmi al cuore delle cose, all'interno di esse
posso conoscerne la reale essenza ma, in quale modo essendo io parte di
questa manifestazione condizionata, posso penetrare all'interno di ciò che
riguarda la manifestazione stessa?

Viene in mio soccorso la 3a idea, attraverso la similitudine quindi fra
macro e microcosmo, quest'ultimo si dice includa in se' tutte le Gerarchie
Celesti, per cui esso non è altro che l'Unità in miniatura che racchiude
nella propria espressione il Finito e l'Infinito, il Conoscibile e
l'Inconoscibile.

Prima di poter entrare in contatto con l'essenza di qualsiasi oggetto si
desideri comprendere è necessario trasferire la propria coscienza sul piano
intuitivo, ad un livello quindi che appartiene già alla Mente Superiore.

Questo implica la conoscenza e l'acquisizione dei Principi che governano la
Natura, e il controllo dello Spirito sulle Forze legate ad essa, l'insieme
di questo meccanismo è chiamato Magia, nel proprio aspetto scientifico.

Nell'applicazione pratica essa diventa un'Arte, sinonimo di Saggezza se
utilizzata a favore del Bene e di Alchimia quando se ne considerano gli
Effetti.

La Magia così intesa è quindi lo strumento dell'occultista, è la Saggezza
Spirituale, è ciò che accade fra l'Osservatore e l'Osservato nel momento di
autentico contatto; si modificano cioè magicamente, la coscienza
dell'individuo e quella cosmica, essendo parte l'una dell'altra e
costituendo esse stesse l'Unica Coscienza ovvero, l'Aspetto Negativo
dell'Essere Assoluto.

In conclusione, possiamo affermare, secondo la Filosofia Esoterica, che un
teosofo è un occultista e che, da vero mago, trasforma se stesso nella
realtà in cui vive?

Il compito dell' esoterista e dell' occultista è di sostenere la Verità,
anche quando sia scomoda o sgradevole. Ogni volta che veniamo in contatto
con un principio della Scienza Occulta e cerchiamo di applicarlo
direttamente o secondo la legge di Analogia su noi stessi, operiamo da
occultisti, ed è anche vero che la Teosofia, intesa secondo gli insegnamenti
dei Mahatma, ci svela i segreti della Natura, ci sprona ad eliminare con
amore, l'ignoranza cieca e conservatrice.

La Teosofia stessa è per ogni ricercatore della Verità, fonte di
ispirazione, la volontà di conoscere è il lato occulto della ricerca.

orso in piedi
 
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view post Posted on 29/1/2012, 22:44

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di Sri Sathya Sai Baba


"NELL'UOMO C'E' L'INFINITO"

Queste sono qualità innate nell’uomo, sono tutti aspetti di Brahman e
molte anime nobili sono venute sulla terra per comunicare agli uomini
queste cose e per ristabilire il Dharma, ovvero la Rettitudine nel
mondo.

La Verità. L’uomo è dotato di ingegno, che esprime attraverso
l’Arte, la Filosofia, la Religione, le cui finalità tendono al
riconoscimento della Verità unica, eterna, trascendente. La gente
considera vere le cose che vede e che sente, e ritiene di aver detto
il vero quando le descrive come le ha viste e sentite. Ma le cose
cambiano in continuazione: ciò che è vero oggi, non lo è più domani;
ciò che è vero per uno, può non esserlo per un altro. La Verità
eterna, trascendente è unica, uguale per tutti e la si trova nelle tre
dimensioni del tempo: passato, presente e futuro. Dunque, la natura
umana è sacra perché racchiude in sé il Principio di Brahman e l’uomo
è l’incarnazione della Saggezza e della Sapienza. Il Principio
“Atmico” è onnipresente.

La pietra, la scultura e l’artista. Eccovi un piccolo esempio. Se uno
scultore ricava da un blocco di pietra una statua di Krishna, non
significa che quella figura sia scaturita dall’esterno per entrare
nella pietra. No. La pietra è solo un mezzo di cui l’artista si serve
per esprimere l’arte insita in lui e che esprime per mezzo della
scultura. Questa, però, per trovare attuazione, dev’essere prima
pensata ed ideata, e l’uomo, dopo averla strutturata nella propria
mente, può concretizzarla servendosi di un masso di pietra. Tra la
pietra, la statua e lo scultore, chi è più importante? Lo scultore, è
ovvio, Quindi, se siete in grado di stabilire l’essenziale,
riconoscerete facilmente anche ciò che è strumentale.

Lo sperimentatore, l’esperienza in sé e l’oggetto dell’esperienza,
ovvero chi vede, l’azione del vedere e la cosa veduta si combinano
insieme per formare un unico risultato.

L’Arte del Creato. Ogni forma d’arte è innata nell’uomo e ha origine
dal cuore. Lo dichiara la Filosofia. Ciò significa che anche la
Creazione - che è Arte Divina - è insita nell’uomo. Chi sa
intravvedere questo, pur non sentendosi diverso dagli altri uomini, è
un santo, perché vive nella Verità.

Il re Bali. [10] Siddhashrama è un’importante località del Kerala ed è
così chiamata perché i suoi abitanti seppero vedere e sperimentare il
Divino. La Vishnu apparve nella forma di Vamana. Quella regione era
allora governata da Bali, re saggio e virtuoso e, durante il suo
regno, la popolazione viveva felice, nella prosperità e nella pace.
L’imperatore trattava i cittadini da pari a pari ed essi potevano
avere tutto ciò che chiedevano.

Dio si presentò a Bali sotto le sembianze di un nano per mettere alla
prova la sua devozione e le sue qualità. Colui che chiede si fa
piccolo, anche se si tratta di Vishnu in persona. Bali gli domandò
premuroso che cosa avrebbe potuto offirGli e il visitatore rispose che
gli bastavano tre piedi di terreno. “Ma io posso darti ben altro; -
replicò l’imperatore - perché chiedi così poco?”. Ma Vamana non
desiderava che quanto aveva chiesto.

E Bali acconsentì con sollecitudine a quella richiesta, che gli parve
davvero modesta.

L’acharya Shukra, il sacerdote del tempio, prima che il sovrano
finisse di parlare, si intromise per avvertirlo di non fare incaute
promesse, in quanto il personaggio che aveva davanti con un aspetto
tanto umile non era un brahmana qualsiasi, bensì la stessa
incarnazione della Shakti, la Potenza Divina. Ma la decisione
dell’imperatore fu irrevocabile e gli rispose: “Qualunque cosa
succeda, terrò fede alla mia promessa. Tu dici che costui è la
Divinità in persona. Bene; se è vero, mi ritengo davvero fortunato. Se
Dio in persona è venuto a chiedermi qualcosa, la Sua mano, per
ricevere, deve mettersi sotto la mia. E questa è proprio una grande
fortuna per me!”

Qui si può notare che il re, dichiarandosi pronto a donare qualsiasi
cosa a Dio, pur contro gli avvertimenti del suo maestro, si rivelò
migliore dello stesso precettore, perché volle mantenere a qualsiasi
costo la parola data. Ci sono infatti dei maestri che non applicano
nella loro vita quanto insegnano agli altri, per cui si dice che, se
un devoto mette in pratica quanto ha imparato, è superiore al maestro
che non applica i suoi stessi insegnamenti.
+
Bali lo aveva capito e si comportò in modo conforme. A quei tempi
c’era abbondanza di mezzi, perché le piogge erano regolari e la gente
era ricca e felice. Ma anche oggi, se si vuole vedere la natura in
pieno rigoglio, bisogna andare nel Kerala, dove la vegetazione è
dovunque lussureggiante e la campagna è feconda da frutteti, alberi di
cocco e fiori. Si dice che la bellezza sia un gaudio e un piacere per
gli occhi e l’uomo trova gioia e piacere nella bellezza e nella natura
creata da Dio.

Con un grande imperatore qual era Bali, le popolazioni del Kerala
vivevano dunque felici e nell’abbondanza. In quella regione tanto
piccola si incarnarono tre Avatara: Parasurama, Narasimha e Vamana
appunto, il cui nome è impresso nel cuore di ogni abitante. Vamana
aveva chiesto una porzione di terreno grande tre dei suoi piedi e,
dopo il consenso del re, col primo passo coprì tutta la Terra; col
secondo occupò il Cielo. Non c’era più posto per il terzo passo e
Bali, che non poteva nemmeno cedere il posto che occupava perché ormai
apparteneva a Vamana, dopo un momento di riflessione, piegò il capo in
modo che Vamana vi posasse sopra il piede e facesse su di lui il terzo
passo. Così facendo distrusse il proprio ego e permise alla Divinità
latente in lui, come del resto in tutti gli uomini, di emergere. E si
liberò!

orso in piedi
 
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view post Posted on 23/11/2012, 14:52

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Introduzione: del metodo filosofico

Robert Nozick (1938-2002)
Il filosofare ha il suo cominciamento nel porsi domande con curiosità. Quanto nella nostra visione del mondo è oggettivo e quanto soggettivo? Quanto di ciò che (secondo noi) è vero lo è in modo assoluto e quanto è invece relativo alla nostra posizione? Le verità sono solo limitate a contesti locali oppure qualcuna di esse vale dovunque e sempre? L’etica ha fondamenti oggettivi? Perché siamo coscienti? Quale funzione svolgono le esperienze personali in un mondo oggettivo?

Precedenti filosofi, almeno la maggior parte di essi, hanno cercato di fissare verità durature entro una salda intelaiatura concettuale; queste verità erano ritenute assolute, oggettive ed universali. Di certo potevano restare dei dettagli da definire, tuttavia si era sicuri di aver collocato le cose essenziali al posto che loro spettava e che lì potessero restare salde per sempre.

In matematica, il teorema del punto fisso1 afferma che tutte le trasformazioni di un certo tipo (per esempio, quelle continue) lasciano invariato almeno un punto in un certo spazio. Il punto invariato è il punto fisso relativamente a quella trasformazione. Comunque, non è la natura intrinseca del punto a lasciarlo fisso. Benché ogni trasformazione possa lasciare fisso un punto od un altro, punti differenti vengono lasciati fissi da trasformazioni differenti. Nessun punto viene lasciato fisso da ogni possibile trasformazione.

I filosofi, tuttavia, hanno cercato punti che rimanessero fissi a fronte di tutte le trasformazioni, rispetto a tutte quelle ritenute meritevoli di considerazione. Tali punti avrebbero costituito in modo assoluto i saldi fondamenti della conoscenza e dei valori. I candidati più qualificati al titolo di punto fisso erano il cogito di Descartes, i dati sensoriali degli empiristi e le verità metafisiche necessarie dei razionalisti. Questi punti non solo erano ritenuti fissi ma anche di una fecondità tale da poter essere di base a tutto il resto della conoscenza e dei valori. Uno alla volta questi punti, che passavano per certi, indubbi, inattaccabili, sono stati smantellati. E così è stata indebolita anche la loro fecondità. Ben poco si poté costruire su di essi usando solo strumenti da costruzione di totale affidabilità.

Il pragmatista Charles Peirce sosteneva, in opposizione a Descartes, che nulla è esente da dubbio. Tutto era passibile di dubbio, anche se non tutto allo stesso tempo. Ogni cosa poteva essere posta in dubbio sulla base di altre proposizioni che, in quel particolare momento, di fatto non erano poste in dubbio. Queste ultime subivano la stessa sorte in un momento successivo. Otto Neurath, in ciò seguito da W. V. Quine, paragonava la nostra situazione a quella di marinai costretti a riparare una nave in mare aperto: stando su assi marce, essi devono riparare e sostituirne altre. Ogni asse prima o poi verrà riparata. Tutto è passibile di trasformazione. Nulla resta fisso. Anche qualcosa di basilare come il principio di non contraddizione può essere messo in questione e riveduto.2

I critici hanno attaccato solo marginalmente l’asserto che nulla è esente da modifica o da ricusazione. I criteri di revisione non sono essi stessi immodificabili? Potremmo mai rinunciare al più debole principio di non contraddizione secondo il quale non per ogni enunciato p, valgono al contempo p e non-p.3 Tuttavia anche queste obiezioni non sono decisive. In verità, si aprirebbe una seria crisi intellettuale incoraggiando un notevole cambiamento derivante dall’asserzione che per ogni enunciato p valgono al contempo p e non-p, sicché è difficile ora immaginare in modo esplicito come un tale cambiamento sarebbe giustificato o plausibile.4

Anche se non possiamo concepire proprio ora i dettagli di una (giustificata) ricusazione del più debole principio di non contraddizione, ciò non di meno un graduale processo di cambiamento potrebbe condurci al rifiuto di ogni enunciato o criterio, incluso quel principio estremamente debole, sulla base di altri enunciati e criteri che devono essere quindi accettati. Il fatto che una teoria presenti un punto fisso non vuol dire che proprio questo stesso punto debba essere o sarà mantenuto fisso da ogni plausibile teoria. E ciò non dimostra che la teoria in questione non sia in grado successivamente di trasformarsi usando le sue stesse caratteristiche precedentemente accettate, di modo che questo punto ed anche quelle stesse caratteristiche vengano modificate.

“Ma non vi saranno dei meta-meta-…-metacriteri comunque immodificabili?” Anche se tali obiezioni fossero accolte, non sarebbero di grande peso. Non si può andare molto lontano solamente affermando che non ogni contraddizione è vera,5 e non si può costruire granché (soltanto) su tali rarefatti metacriteri. Potremmo anche dire che non vi sono punti fissi e neanche metapunti fissi. (E ciò comprende quanto appena detto.)

Un particolare preteso principio di ragione potrebbe anche essere ricusato, ma la ragione non deve essere essa stessa sempre e in ogni tempo l’ultimo arbitro di tutte le contese intellettuali? La ragione non deve rimanere sempre (come afferma Thomas Nagel) “l’ultima parola”?6

Ma cosa è precisamente ciò che deve perdurare? Non qualsiasi particolare enunciato o principio, visto che ciascuno di essi potrebbe essere trasformato o sostituito o condizionato o ricusato. Se si afferma che solo la stessa Ragione, invece che qualsiasi particolare enunciato del suo contenuto, deve restare come arbitro finale, allora dobbiamo chiederci che cosa è precisamente ciò che deve restare. Se non come un particolare contenuto, allora il solo senso in cui la ragione deve perdurare è quello di una linea genealogica in evoluzione. La ragione durerà, come qualsiasi cosa che si evolve o cresce a partire dall’attuale contenuto della ragione mediante un processo di cambiamento frammentario che viene giustificato in ogni momento da principi che sono accettati in quel dato momento (benché non necessariamente in seguito) e si potrà giustificare il persistente uso dell’etichetta “ragione”, a condizione che ciascun stadio evolutivo segua quello immediatamente precedente. (Il nuovo stadio può, tuttavia, non sembrare molto simile ad un precedente passaggio graduale.) Il grado di continuità difficilmente pare possa caratterizzare qualcosa di simile ad un punto intellettuale fisso ed eterno. È di poco aiuto aggiungere che ciò che durerà è un processo di pensiero che, negli esseri umani, continuerà ad avere il suo significativo locus nella corteccia cerebrale prefrontale, a meno che e fin tanto che alterazioni genetiche e impianti protesici non spostino la sede della prevalente attività della ragione.

La mia personale tendenza filosofica è quella di schiudere nuove possibilità di riflessione. Non di precluderle. In questo libro propongo nuove idee e tesi filosofiche, e gli argomenti addotti a loro sostegno sono volti a sottoporle al vaglio più che a dimostrarne in modo definitivo la correttezza. Parimenti, le critiche da me rivolte ad alcune delle maggiori teorie o posizioni antagoniste non intendono rigettarle in modo definitivo, bensì soltanto indebolirle quanto basta per creare uno spazio filosofico in cui le nuove idee proposte possano respirare e crescere. Formulo questa mia intenzione qui all’inizio soltanto per non dover, nel prosieguo, formulare continuamente scuse. Questo non è un cauto tentativo di evitare le critiche mediante un ridimensionamento delle ambizioni. Si rischia già fin troppo l’osso del collo ad accampar pretese di dire cose nuove e filosoficamente interessanti.

La proposta e l’esame di nuove idee, senza alcun intento di una loro dimostrazione, sono strumenti particolarmente adatti per espandere la conoscenza filosofica. Il metodo dimostrativo inizia a partire da un certo punto o con un insieme di premesse e prosegue finché c’è qualcosa che può essere dimostrato sulla loro base. Se vi sono verità irraggiungibili da quel punto di partenza,7 questo metodo comporta una riduzione nel contenuto di verità della filosofia risultante. Inoltre, non ha senso restringere un metodo filosofico al solo scopo di poter pronunciare un come volevasi dimostrare, quando ci si è resi conto che comunque l’idea di partenza non si basa su sicuri e inalterabili fondamenti. Dal momento che il non fondazionalista inizia da un punto che non è stato provato o definito in modo assoluto, e inoltre dato che è ammissibile accettare alcune cose che non sono state assolutamente provate, perché non si possono accettare anche altre cose del genere?

Perché si richiede che le opinioni filosofiche vengano accettate solo se dimostrabili a partire dal punto P? Un tale requisito non garantisce affatto la verità dei risultati, dato che lo stesso punto P può non essere vero. Certo il metodo dimostrativo garantisce che non verranno aggiunte nuove autonome falsità alle opinioni di una persona (benché esso consenta l’aggiunta di nuove false credenze che, in parte, sono basate su falsità che P generalmente accetta.) Tuttavia, dobbiamo anche osservare che la natura restrittiva del metodo dimostrativo può impedire che vengano eliminate delle falsità insite di fatto in P, che, invece, si potrebbe essere in grado di rimuovere ricorrendo a dei metodi non deduttivi. Dato che un metodo non deduttivo potrebbe consentire, a partire da P, di raggiungere nuove proposizioni che sarebbero incompatibili con quelle particolari falsità insite in P, per questo motivo si è spinti ad eliminare quelle falsità dal corrente modo di pensare. Tramite i metodi non deduttivi, P viene trasformato con l’aggiunta di proposizioni e sottraendo quelle (false) proposizioni che sono incompatibili con le nuove; in conseguenza di ciò emerge una nuova posizione. Essendo i filosofi necessitati a procedere solo col metodo dimostrativo, è impossibile eliminare falsità in questo modo. Il metodo dimostrativo non è affatto un amico sincero della verità, nonostante le apparenze.

Un metodo alternativo, quello che io qui seguo, consiste in una serie di sortite filosofiche. Per far ciò partite dalla vostra attuale posizione P e, fermo restando P, considerate cosa c’è di plausibile, esplicativo, intellettualmente interessante e sostenuto da argomenti. (Tali argomenti dovrebbero essere importanti ma non necessariamente decisivi.) Una volta trovato qualcosa del genere, supponete che esso sia vero e quindi alla sua luce considerate cosa c’è di plausibile, esplicativo, intellettualmente interessante e sostenuto da argomenti. Una volta trovato ancora qualcosa del genere, considerate nuovamente cosa c’è di plausibile, … E così di seguito. Questo metodo non individua un unico percorso. Infatti, dato P, varie cose saranno plausibili, esplicative, intellettualmente interessanti e sostenute da argomenti e queste varie cose non si presenteranno identiche o forse neppure compatibili fra di loro. Accogliendo una di queste cose, ancora ulteriori cose saranno plausibili, esplicative, intellettualmente interessanti e sostenute da argomenti e anche queste ulteriori cose non si riveleranno identiche o forse neppure compatibili fra di loro. Perciò questo metodo esplorerà o consentirà l’esplorazione di differenti percorsi.

Seguendo questo metodo, così come illustrato, possiamo alla fine arrivare a considerare un’idea che non è plausibile alla luce del punto di partenza P. (La relazione “X è plausibile dato Y” non è transitiva.) Dovremmo limitare l’ampiezza del nostro metodo filosofico solo a ciò che è plausibile alla luce della nostra posizione di partenza? Certamente qualcuno deciderà di fermarsi a questo punto. Tuttavia io ritengo che la plausibilità (a partire dal punto di vista della posizione di partenza) non dovrebbe essere un limite all’analisi, fin tanto che seguiamo una linea di ragionamento del tipo sopra descritto e continuiamo, dato P, a cercare qualcosa che sia esplicativo e intellettualmente interessante. Senza dubbio, nel cercare chiarezza e interesse, noi in particolare analizzeremo le più plausibili fra le idee illuminanti e intellettualmente interessanti.8

Tuttavia, dovremo limitare le nostre sortite solo a quell’area che sia filosoficamente interessante ed esplicativa, tenuto conto della nostra attuale posizione P. (Ciò costituisce una limitazione poiché la relazione “X è filosoficamente interessante e illuminante dato Y” non è transitiva, e pertanto una catena di tali connessioni può arrivare a qualcosa che non è interessante ed esplicativo rispetto al punto di partenza.) Naturalmente, se conveniamo di accogliere alcune di queste nuove cose (non solo di analizzarle), allora quella che è la nostra attuale posizione cambierà da P in qualcosa di nuovo P’. Al che, muterà anche il nostro campo d’azione. L’area delle sortite si amplierà e si restringerà allo stesso tempo — si amplierà perché le cose che prima non erano interessanti ed esplicative ora lo sono diventate, dato P’; si restringerà, perché ciò che prima era interessante e illuminante ora non lo è più, dato P’.

Qui torna utile un raffronto con la fisica. I fisici usano una massa di calcoli approssimativi per lunghi periodi di tempo in modo da procedere speditamente e con successo nel trattamento dei problemi di loro interesse. (Ricordo, al proposito, lo stato del calcolo prima di Weierstrass e il cammino percorso verso metodi di rinormalizzazione nella teoria quantistica dei campi.) I fisici son ben lieti di lasciare la rifinitura dei loro metodi ai matematici che li seguono dappresso. Attualmente, i teorici delle stringhe studiano svariati aspetti di questa teoria e stanno per iniziare a considerare i modi in cui unificarli in una M-teoria.9

Essi stanno traendo deduzioni interessanti (la teoria spiega la gravità in modo molto semplice), analizzano entità estreme, come la supersimmetria, per i loro interessanti effetti (senza avere alcuna prova della loro idoneità), investigano le proprietà di una teoria che hanno solo abbozzata ma non precisamente formulata (di essa sono note alcune proprietà ma non le equazioni) ed usano metodi di approssimazione (la teoria della perturbazione) per comprendere alcune delle conseguenze della teoria (e danno poca importanza a campi in cui si sa che questi metodi sono molto lontani dal bersaglio). Un titanico sforzo teoretico senza nemmeno riuscire ad avvicinarsi (fino ad ora) a particolari dati empirici o esperimenti. (Dato che la teoria delle stringhe è al momento il più stimolante settore della metafisica, ritornerò sull’argomento nel Capitolo 3.)

Nonostante sia intellettualmente stimolante giungere in un’area di nuove e filosoficamente interessanti e illuminanti teorie, si può dire che si è conseguito un significativo progresso filosofico quando alcune delle varie posizioni, che con le sortite ci si era prefissi di raggiungere iniziano, non solo a trovarsi su di uno stesso piano, ma anche a combinarsi, integrarsi e concatenarsi per dar luogo ad una nuova, illuminante ed interessante struttura.

Anche questo risultato, naturalmente, non prova che si sia sulla giusta strada, tuttavia ne aumenta la probabilità. Infatti non è sempre possibile prendere automaticamente alcuni di tali gruppi di idee singolarmente interessanti e illuminanti e concatenarli in una nuova struttura che chiarifichi questi stessi gruppi e forse anche altre nuove cose. Una tale serie di ordinate sortite filosofiche costituirebbe ciò che Imre Lakatos ha definito un “programma di ricerca graduale”,10 sempre che esso continui nella ricerca di nuove illuminanti posizioni da concatenare in una nuova interessante struttura, e specie se questa struttura indichi proficuamente o fornisca una piattaforma da cui lanciare nuove sortite che raggiungono ulteriori posizioni rispondenti a questi criteri.11

“Ma dovremmo credere nei risultati di questo tipo di filosofia?” Questa modo di far filosofia non è strutturato per indurre a credere in qualcosa o ad accettare qualcosa come vera (al di là della credenza che la teoria sia illuminante e interessante). La credenza, se mai, può risultare nel caso in cui l’opinione sia plausibile e spieghi al meglio, o unifichi, varie cose. Oltre tutto la filosofia, o quel particolare sentiero che ad essa conduce, non si è dimostrata un fiasco quando non conduce ad alcuna credenza (e questo, non perché sentieri alternativi di questo metodo potrebbero essi stessi condurre alla credenza.) La credenza non è la sola moneta corrente nel reame della filosofia. Vi sono nuove classificazioni, analisi e conoscenze e vi è la procedura della stessa apertura intellettuale. Ciò che non si concretizza in una credenza può essere compiuto con altri mezzi. Tommaso d’Aquino ha portato a Dante.

Un procedimento filosofico può continuare ad essere interessante intellettualmente a causa dei suoi nuovi metodi di approccio, dei suoi nuovi modi di applicare vecchi metodi e della sua immaginazione ed audacia. Futuri pensatori potrebbero essere stimolati a trovare caratteristiche analoghe che si addicano alla loro nuova posizione intellettuale. Duemilacinquecento anni dopo noi troviamo ancora interessante leggere Platone — non per i suoi risultati.

Quando prima sostenevo che non vi sono punti filosofici fissi, intendevo anche che non esistono concetti filosofici fissi. Ciò nonostante certi concetti sembrano fondamentali e fissati in modo manifestamente inamovibile da altri concetti che essi organizzano; essi sembrano garantiti per applicazioni vantaggiose. Gli psicologi evoluzionisti parlano di una nostra innata predisposizione a comprendere e spiegare il mondo tramite certe categorie e “teorie” quali, per esempio, quelle secondo cui il mondo consiste di oggetti fisici in continuo movimento e quelle secondo cui le credenze e i desideri governano il comportamento degli altri ed anche le nostre stesse azioni.

Ricorrere ad una spiegazione su base evoluzionistica di alcuni dei nostri concetti fondamentali è al contempo rassicurante e sconvolgente. È rassicurante per il fatto che sostiene che questi concetti ebbero una presa tale sul mondo da essere stati d’ausilio per il successo della riproduzione e da essere stati espressamente selezionati. Essi devono aver avuto in sé qualcosa di appropriato. Pur tuttavia il fatto che siano stati oggetto di questa selezione non garantisce una loro completa esattezza. I concetti spaziali della geometria euclidea sono stati buoni abbastanza da guidarci nella vita pratica, tuttavia noi oggi sappiamo che essi, a rigor di termini, non sono precisamente adatti al nostro mondo. Sicché, quando osserviamo il mondo attraverso una struttura concettuale impressa in noi dall’evoluzione, sappiamo per questo come è realmente il mondo? Conosciamo il mondo – per usare una terminologia kantiana – come è in se stesso?

Sin dai tempi di Aristotele, i filosofi hanno delineato ed utilizzato fondamentali categorie conoscitive: forma, contenuto, sostanza, proprietà, causalità, oggetto, credenza, desiderio, tempo, oggettività, verità. Alcuni filosofi ritengono queste categorie ineludibili e necessariamente precise riguardo al mondo. Kant si astenne dal dire che esse necessariamente si applicano al mondo così come noi lo organizziamo e lo descriviamo — esse si applicano alle apparenze, invece che alle cose in se stesse.12

In tempi più recenti, alcuni filosofi hanno ripristinato l’autorità e la validità di alcuni di questi tradizionali concetti sulla base delle intuizioni che danno forma alla loro filosofia; essi trattano queste intuizioni come dati cui deve conformarsi una teoria filosofica. Tuttavia, una spiegazione su base evoluzionistica di questi concetti elimina alla radice la loro inconfutabile autorità, unitamente a quella di ogni intuizione che si trascinano appresso. In tutto ciò non vi è alcuna base sicura per una teoria filosofica!

Una parte del mondo oggettivo, un frammento che si è radicato nei nostri cervelli tramite l’evoluzione, è la nostra teoria di questo mondo, e questa teoria non è necessariamente molto precisa. Se qualcuno mette in dubbio una parte di questa teoria, mettendo in dubbio anche l’applicabilità delle sue fondamentali categorie, per i filosofi non è sufficiente, o appropriato, argomentare prontamente sulla posizione contraria in un modo che presupponga la valida applicazione proprio di questi concetti o di quelli strettamente associati. Oppure avere una reazione esagerata, anche quando si discute su nozioni centrali quali la verità oggettiva, l’analisi oggettiva e la razionalità.

Nemmeno l’applicazione delle nozioni di credenza e desiderio può essere accettata come vera. Due filosofi, Paul e Patricia Churchland, di recente hanno sostenuto che queste categorie di “psicologia ingenua” (folk psychology) sono seriamente inadatte e saranno sostituite da concetti chiarificatori di una neuroscienza sviluppata. Molti filosofi hanno reagito a questa posizione così come le vecchie generazioni fecero con gli atei, retrocedendo inorriditi dinanzi al loro rifiuto delle cose sacre. Il rifiuto delle categorie della psicologia ingenua può anche non essere corretto, tuttavia non se ne può escludere la possibilità.

Un filosofo dovrebbe essere aperto a interessanti possibilità concettuali radicalmente differenti. Se non altro, la loro investigazione condurrà ad una più profonda comprensione della struttura concettuale in cui ci troviamo immersi o da cui siamo pervasi. Troppo spesso, i filosofi insistono che le cose devono essere in un certo modo, e fanno di tutto pur di tenere lontano altre possibilità. “Il Male è l’attivo. Il Bene è il passivo.”13

È ormai un fatto scontato che i progressi della fisica abbiano radicalmente stravolto le teorie ed i concetti infusi in noi mediante l’evoluzione, come pure le nostre teorie del senso comune. Lo spazio non è euclideo, la simultaneità non è assoluta, il mondo non è deterministico, gli eventi quantistici sono in (una mal compresa) relazione con chi l’osserva ed essi possono anche avere termini di correlazione non locali che non sono mediati da processi sopravvenienti. Un tale sconvolgimento dei nostri tradizionali concetti è allo stesso tempo inquietante e sconcertante. La gente è disposta ad ogni cosa pur di evitare tutto ciò.

Un esempio ci viene dalla formulazione di David Bohm della meccanica quantistica, che ha fatto un certo numero di proseliti fra i filosofi ma ben pochi fra i fisici.14 La teoria di Bohm è deterministica, le particelle occupano posizioni e traiettorie definite, la funzione d’onda del sistema si riferisce ad una entità esistente che determina il comportamento delle particelle, non vi è alcun collasso della funzione d’onda, e (come ha sottolineato John Bell) la teoria non richiede alcun riferimento ad un osservatore ed offre una omogenea spiegazione del mondo fisico che non è bipartito secondo una concezione della fisica quantistica ed una della fisica classica. Comunque, secondo Bohm “le leggi fondamentali del mondo sono escogitate in un modo da ingannarci sistematicamente su di loro… [la teoria] ci dà conto dettagliatamente dello svolgersi di una perversa e colossale cospirazione volta a far si che il mondo appaia essere meccanico-quantistico”.15

La meccanica bohmiana è una teoria molto più complicata di quanto lo sia la meccanica quantistica ortodossa. È senz’altro interessante che possa essere formulata questa teoria deterministica di ciò che oggettivamente esiste. Ma che insegnamento possiamo trarre da questo fatto? Agli inizi del XX secolo, Henri Poincaré disse che, dal momento che la più semplice geometria dello spazio era euclidea e dato che tutti gli altri fatti potevano rientrare nella cornice euclidea rendendo più complessa la (teoria della) fisica, la geometria euclidea non era da smantellare. Essa non poteva, razionalmente parlando, essere messa da parte. La semplicità era importante, convenivano altri, però la semplicità importante era quella derivante dalla teoria globale, non soltanto da una componente teorica, anche se quella componente è della portata e importanza della geometria. Se la più ampia e globale semplicità della geometria + fisica può essere meglio conseguita includendo una geometria non-euclidea, allora questa più complessa componente geometrica verrà inclusa nell’interesse della semplicità della nostra teoria globale. Dato che degli aggiustamenti possono essere fatti altrove per mantenere in vita la geometria euclidea nonostante i problemi, come era possibile rendersi conto della falsità di questa geometria euclidea ereditata e apparentemente logica, se non sottoponendola ad una tale prova di semplicità globale?

Pierre Duhem ci ha insegnato che una particolare teoria può durare, a dispetto di dati difficilmente trattabili, mediante la modifica di ipotesi ausiliarie. (È meno evidente che una particolare teoria possa sempre essere combinata con tali modificazioni ausiliarie per spiegare i dati empirici.) Dall’opera di Bohm apprendiamo che la tradizionale intelaiatura di una deterministica, oggettiva teoria può essere conservata e che essa spiegherà i dati se le verranno associate sufficienti complicazioni. Ma come impareremo che una tale struttura familiare e manifestamente irresistibile dal punto di vista metafisico è sbagliata se non la sottoponiamo ad una prova di semplicità globale della teoria? Noi non vogliamo che ci restino per sempre incollate addosso le nostre categorie dell’età della pietra o quelle newtoniane; noi vogliamo riuscire a sapere di più, se veramente vi è di più da sapere. Il rifiuto della teoria di Bohm da parte dei fisici, un rifiuto che molti filosofi della fisica oggi considerano con sospetto, nasce, secondo me, non proprio dalla difficoltà di conferirle una forma relativisticamente invariante bensì dalla sensazione sorta nei fisici che la teoria di Bohm sia molto vicina a questo tipo di nuovo apprendimento. Non dovrebbe sorprenderci il fatto che ci voglia tempo per giungere a chiare e precise formulazioni di nuovi e difficili concetti, quali sono quelli della meccanica quantistica. I concetti del calcolo, dopo tutto, per la loro chiarificazione hanno dovuto aspettare tutto il tempo che è trascorso da Newton e Leibniz fino a Weierstrass e la formulazione in termini di infinitesimali ha raggiunto la chiarezza solo con il recente lavoro di Abraham Robinson.16

Anche il pensiero filosofico può suscitare sorprendenti possibilità concettuali, a volte suggerite da siffatte scoperte scientifiche pur se non da esse stesse implicate. Come la geometria non sta da sola ma è parte di una visione globale, così anche noi non cerchiamo la più semplice o la più raffinata filosofia bensì cerchiamo la migliore teoria globale, ed ai fini di questo obiettivo, anche alla filosofia si può chiedere di rinunciare ad alcuni dei suoi indiscutibili tesori di un tempo. La perdita da parte della filosofia della sua (presunta) autorità fondamentale per tutte le altre discipline è più che compensata dagli stimoli esterni che essa oggi riceve per arrivare a più soddisfacenti, e non più aprioristiche, posizioni.

Ci dovremmo attendere che molti dei nostri evoluti concetti presentino dei difetti e dovremmo, quindi, essere preparati a non fidarci più di essi, almeno in contesti specializzati dove si manifestano in modo più evidente le loro imperfezioni. Non è possibile predire l’esigenza di tali revisioni o rivoluzioni concettuali (e la direzione che dovranno prendere), né questa esigenza può essere evitata o respinta da un generale dispositivo di purificazione concettuale quali sono il criterio empirista di Locke, quello critico di Kant o le definizioni operative di P. W. Bridgeman.17

“Ma i nostri concetti evoluti non costituiscono il nostro modo fondamentale di conoscere? La conoscenza di un fenomeno non vuol dire essere in grado di situarlo nella nostra rete di concetti evoluti? Sicché, la rinuncia a questi concetti non ci lascerà andare alla deriva, senza alcuna ulteriore speranza di conoscenza?”

Tuttavia, vi è l’alternativa di creare nuovi concetti per la comprensione di nuovi fenomeni e di applicare questi nuovi concetti anche a fenomeni più vecchi. Einstein definiva le teorie scientifiche come “libere creazioni della mente umana” e queste creazioni comprendono i concetti che queste teorie impiegano. Il fisico Roland Omnes ha affermato che scopo dell’interpretazione della meccanica quantistica non è quello di trovare una descrizione classica dei fenomeni quantistici bensì di trovare una descrizione quantistica di tutti i fenomeni e fatti classici, cioè comprendere i più vecchi fenomeni in termini di nuovi concetti.18

La meccanica quantistica ci offre un’immagine sorprendente del mondo e lo scopo non è quello di cogliere al volo o comprendere i suoi fatti imprevedibili all’interno della nostra precedente visione del mondo, bensì di comprendere il mondo attraverso concetti consoni ai nuovi fatti. (Dato che è estremamente difficile il compito di sviluppare nuovi fecondi concetti, il buon senso vuole che non si gettino via i nostri precedenti concetti alla leggera, senza una giusta causa.)

Nell’investigare sulle funzioni di verità (credenza vera), oggettività, etica e coscienza avremo occasione di tenere gli occhi bene aperti su appropriate teorie e dati scientifici. La filosofia non è (interamente) una disciplina a priori, sicché deve intrecciarsi con l’attuale conoscenza ed anche tener dietro alle promettenti e complicate tendenze nascenti da questa conoscenza. Cercheremo, anche, di individuare e separare il substrato empirico o l’aspetto delle questioni filosofiche e, nella misura in cui ciò sarà possibile, trasformare le questioni filosofiche in questioni fattuali, empiriche. Pertanto, vedremo che le questioni circa la relatività della verità spiegano il successo nel modo di agire di gruppi differenti, ed anche se ogni singola verità viene registrata attraverso lo spazio ed il tempo. Le questioni riguardanti l’oggettività dipendono dalla gamma delle trasformazioni sotto le quali qualcosa è invariante. Alcune questioni etiche dipendono, in parte, dalla ubiquità o meno della morale e alcune questioni relative alla coscienza dipendono dalla sua funzione biologica. La comprensione del perché vi sia un mondo oggettivo può dipendere dalla cosmologia.

Freud descrisse l’obiettivo della psicanalisi con le parole “Dove era l’id, lì sarà l’io”. Sarebbe pretendere un po’ troppo, ed anche poco consigliabile, fare eco a queste parole e dire: “Dove era la filosofia, lì sarà la scienza”. Nonostante che la trasformazione di questioni filosofiche in dimostrabili ipotesi fattuali non sia l’unico metodo filosofico, questo affinare le problematiche è un modo per aprire nuove vie di progresso. Un altro metodo è quello di porre questioni nuove.

Pertanto, cominciamo.

da http://www.sitosophia.org/2012/05/introduz...odo-filosofico/

Ecco cosa manca oggi.Un modo di pensare aperto, e non bloccato ai "pseudo valori" di oggi che ci costringono in una prigione che ci impedisce di crescere.
Badate bene, questi valori sono stati imposti e non dovuti ad una consapevolezza condivisa.

orso in piedi
 
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view post Posted on 24/11/2012, 20:18

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IN PENSIERO PER LA CRISI O PENSIERO IN CRISI?
06 Novembre 2012 Scritto da Piero Cammerinesi


“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.

Così scriveva Massimo Scaligero nel 1956 in una delle sue prime opere pubblicate, “Iniziazione e Tradizione”.

Queste parole ci possono aiutare a ‘fotografare’ il momento presente per comprendere come affrontare la gravità della situazione attuale da un punto di vista spirituale – il che però, attenzione, significa sia interiore che esteriore –. Poi torneremo a delineare meglio la dicotomia tra Tradizione ed Iniziazione, che viene evidenziata già nel titolo dell’opera.

PENSIERO COME STRUMENTO DI CONOSCENZA

Quando noi ci poniamo di fronte al mondo, alle cose, agli eventi ed anche a noi stessi, lo facciamo mediante uno strumento speciale: il pensiero. Il pensiero è lo strumento primario del nostro conoscere ma è al tempo stesso il meno conosciuto. Ci serve per conoscere ma noi non lo conosciamo. Conosciamo i pensieri già formati, i pensati dunque, ma non sappiamo come li conosciamo.

Se vi regalano un nuovo smartphone, che è lo strumento per attivare una serie di utili nuove funzioni e voi non sapete usarlo, che fate? O rinunciate a usarlo o vi studiate il libretto d’istruzioni. Se ‘smanettate’ senza conoscerlo è probabile che combiniate qualche pasticcio…

Se la vostra passione è studiare la lingua greca, che è lo strumento per leggere dei testi greci antichi non tradotti e non conoscete il greco che fate? O rinunciate a studiare quei testi o andate a scuola di lingua. Se improvvisate una lettura parziale perché conoscete qualche parola greca, rischiate di prendere fischi per fiaschi, o no? Se volete conoscere il mondo nella sua complessità, se volete interpretare gli eventi che accadono intorno a voi, se intendete avere un discreto grado di autoconoscenza che fate? Usate il pensiero, che di fatto è l’unico strumento per conoscere il mondo e se stessi.

Ma qualcuno vi ha mai insegnato ad usarlo?

Che stupidaggine, penserete voi, imparare a pensare è automatico, proprio come iniziare a camminare o a mangiare… Giusto. Mentre con lo smartphone studiamo le istruzioni e con la lingua andiamo a lezione, con il pensiero siamo autodidatti. Ora, però, se usando lo smartphone o leggendo il greco classico facciamo dei pasticci, di regola ce ne accorgiamo subito, perché la realtà esteriore ci corregge. L’e-mail non parte, internet non si connette… Ma se sbagliamo con il pensiero? Nella vostra vita non vi è mai capitato di scoprire che un certo giudizio su una persona, una certa convinzione su un avvenimento esteriore, una determinata immagine che avevate di voi stessi si sono poi dimostrate errate?

Allora, secondo la nostra analogia dovremmo avere:

Smartphone → strumento per email, internet etc → Usare lo smartphone correttamente → imparare ad usarlo. Lingua straniera → strumento per leggere testi non tradotti → Leggere una lingua straniera correttamente → imparare la lingua. Pensiero → strumento per gestire la nostra vita → Pensare correttamente → imparare a pensare.

Ma nessuno ci ha mai parlato di una scuola del pensiero che ci insegnasse a usare questo strumento nel modo migliore. Eppure saper usare correttamente il pensiero è ben più importante del saper usare l’ultimo cellulare o saper leggere il greco classico. Nel primo caso, non sapendolo usare, possiamo commettere degli errori catastrofici che coinvolgono tutta la nostra vita mentre negli altri andiamo incontro a errori rimediabili. Il pensiero determina tutta la nostra esistenza e spesso non ci accorgiamo quando sbagliamo, se non è la vita stessa a farcelo capire magari con una bella mazzata.

Come conosco io il mondo, a partire dal primo istante in cui apro gli occhi di fronte alla natura esteriore ed al mio stesso sé? Grazie ai sensi io ho la percezione di un oggetto o di un avvenimento, grazie al pensiero vi aggiungo dei concetti, li metto in relazione tra loro, interpreto ciò che ho in tal modo davanti alla mia coscienza, ne ho un certo sentimento di simpatia o antipatia, di piacere o dispiacere, formulo dei giudizi, ed infine reagisco con una azione. Questa azione inevitabilmente avrà delle conseguenze sul piano esteriore che si rifletteranno sulla totalità della mia vita.

Gli indiani chiamavano karma la legge che determina le conseguenze delle azioni compiute. Il karma è quanto mi ritorna dal mondo esteriore come evento positivo o negativo determinato dalle mie azioni.

Ma se il pensiero iniziale con cui ho interpretato l’evento che mi capita era errato, che succede? Succede che con tutta probabilità io - giudicando scorrettamente la situazione - agirò anche in modo errato. Dunque il mio karma, le conseguenze delle mie azioni, non potrà che essere negativo. Perché avviene una cosa particolare se io non so pensare a fondo un avvenimento; quando si tratta di reagire, di passare all’azione, non è il pensiero che reagisce e determina l’azione, ma gli stati d’animo e l’istinto.

L’istinto si sostituisce inavvertitamente e illecitamente alla nostra azione cosciente.

Il sonno del pensiero – per parafrasare Lukacs – genera mostri.

Quante volte abbiamo detto: “Volevo fare così ma poi ho fatto in un altro modo, volevo dire questa cosa a quella persona ma poi ho detto tutt’altro…”

Ecco, il pensiero dormiva e l’istinto ha agito. L’istinto è l’illecita ingerenza della mia fisicità, del mio egoismo, della convenienza individuale nelle scelte della mia vita. Non parlo solo di egoismo spicciolo, ma di un approccio generalizzato al mondo. Nietzsche, per esempio, parlava di istinto dei filosofi: persino alla base della filosofia ci sarebbe – secondo lui - volontà di potenza! I filosofi – afferma - vogliono aver ragione, vogliono prevalere sugli altri con la propria visione del mondo; per questo nasce la filosofia, perché è più conveniente la verità che la non-verità.


“Il pensiero cosciente di un filosofo è per lo più segretamente diretto dai suoi istinti e costretto in determinati binari. Anche dietro ogni logica e la sua apparente sovranità di movimento stanno apprezzamenti di valore, o per esprimermi più chiaramente, esigenze fisiologiche di una determinata specie di vita."

Friedrich Nietzsche (Al di là del bene e del male)

“Eppure abbiamo studiato tanti anni - penserete voi - qualcosa avremo pure imparato di questo strumento”. Il problema è che la scuola non ci ha insegnato a pensare, ma ci ha trasmesso solo dei pensati e per di più non nostri, ma di altri. Abbiamo appreso la Storia della Filosofia, non a filosofare! Quando mi è stato insegnato a distinguere i pensieri giusti da quelli sbagliati? Come uso il pensiero per guidare la mia vita?

PENSIERO DIMEZZATO

Abbiamo visto:

Se pensiamo male → interviene l’istinto → azione errata → karma negativo
Se pensiamo correttamente → sostituiamo la coscienza all’istinto → azione giusta → karma positivo


Questo naturalmente vale sia per la vita esteriore che per quella interiore (la conoscenza di me stesso, dei miei sentimenti, inclinazioni etc.).

Se io non mi conosco veramente credo, ad esempio, che di fronte ad un determinato avvenimento reagirei in un certo modo, mentre poi magari reagisco in tutt’altro modo… Padroneggiare il mio strumento di conoscenza, il pensiero, mi consente di riconoscere la verità fuori di me e quindi anche di dirigere in modo autentico il timone del mio giudizio verso la giusta decisione e la giusta azione.

Ad esempio ci siamo mai chiesti perché nella nostra giovinezza ci siamo a un certo punto sentiti di destra o di sinistra, o perché abbiamo scelto tale o talaltra squadra sportiva, o perché abbiamo fatto una certa scelta professionale? Perché a volte ci infatuiamo di un’idea, di una persona, di un leader, di un maestro, salvo poi gettarlo – al primo dubbio o delusione – dall’altare alla polvere? Siamo stati noi a scegliere o chi o cosa ha scelto per noi? Se cerchiamo di indagare magari scopriamo che fu per via della nostra famiglia, dei nostri amici o del nostro ambito sociale, o forse – al contrario - per reazione a quelli. D’accordo, ma perché in noi ci fu, ad esempio, adesione a certi modelli mentre in altre persone a noi vicine prevalse la reazione? Possiamo provare a capire la questione mettendo in relazione i vari eventi che ci hanno portati a essere quelli che siamo. Ma la relazione tra un momento e l’altro di un evento, di un fenomeno, è una relazione di pensiero. Tuttavia a noi questa relazione, di regola, sfugge perché non siamo coscienti di come opera il pensiero nel mettere in relazione.

Pensate che non sia importante capirlo?

Se approfondiamo questa indagine ci accorgiamo che spesso quelle sono state scelte karmiche, scelte che coinvolgono tutta la nostra vita, ma che nulla hanno a che fare né con una verità oggettiva né con l’essenza del nostro Io. Intendo dire che la maggior parte delle scelte della nostra vita sono state determinate da un pensiero non consapevole dello scenario generale della nostra esistenza, dunque, da un pensiero dimezzato. Non solo: spesso anche le nostre convinzioni più profonde non sono nostre, ma, diciamo così, prese a prestito dal mondo circostante.

PENSIERO VIVENTE

Siamo attori o comparse nella stessa nostra vita, interiore ed esteriore?
È evidente che dalla risposta a questa domanda scaturisce poi ogni decisione, giudizio, azione – o non-azione – della nostra vita.

Come si diceva, sembrerebbe necessario imparare a pensare.

Cosa significa?

Il pensare a cui mi riferisco non è quello che si esprime nella forma del sapere o del giudizio, dell’opinione o dello stato d’animo, ma è l’attività di pensiero tramite il quale queste forme sorgono nella nostra coscienza.


“Il vero pensiero non è il pensiero già caduto nella forma come forma di una cosa o di uno stato d’animo o di un giudizio, o di un sapere – che può anche essere sapere spiritualistico – ma il pensare grazie a cui questa forma sorge, onde l’oggetto si dà come pensiero, perché si crede di vedere l’oggetto”. Massimo Scaligero (Trattato del Pensiero Vivente)

Ciò che è alla base di ogni nostra attività conoscitiva prima di articolarsi in pensati lo chiamiamo pensiero vivente.

Con i pensieri in realtà noi crediamo di vedere l’oggetto del nostro pensare – l’oggetto esteriore, l’evento – ma non ci avvediamo di essere di fronte a dei pensati. Crediamo che siano degli oggetti ma sono solo pensieri, pensati. I pensati hanno perso ogni possibilità di essere strumento di conoscenza della totalità del mondo, servono solo a indagare il misurabile. Sono pensati, appunto, già definiti, rigidi, morti.

Ricordate il mito platonico della caverna?

Alcuni prigionieri sono legati sul fondo di una caverna dove hanno sempre vissuto senza potersi girare. Fuori dalla caverna c’è un muro ad altezza uomo dietro al quale camminano persone che portano sulla testa statuette raffiguranti degli oggetti; persone che parlano e il loro eco rimbomba nella caverna. Dietro queste persone vi è un fuoco che proietta le immagini degli oggetti sulla parete della grotta davanti agli uomini legati. Non avendo mai visto nient’altro della realtà, i prigionieri, osservando le ombre, pensano che questa sia la realtà. Uno di loro, però, si libera e si volta; vede allora le statuette e si accorge che sono più reali delle ombre; poi esce dalla grotta, oltrepassa il muro e inizialmente è accecato dalla luce del sole. Poi si guarda intorno e vede il mondo, la natura, e nota che tutto è più vero degli oggetti che sono proiettati. Dopo essersi chiesto da dove provenga la luce, si accorge che è il sole a dare significato a tutto.

Il sole è il pensiero vivente, mentre le ombre sul fondo della caverna sono i pensati con cui abbiamo quotidianamente a che fare. Non sapere cosa proietti le ombre sul fondo della caverna non ci permette di conoscere la vera realtà e ci fa vivere in un mondo spesso incomprensibile, ma non solo. Ignorare la presenza del sole ha anche un’altra conseguenza; se non sappiamo cosa proietti la luce (pensiero vivente) che disegna le ombre sul fondo della grotta (pensati) non siamo liberi nelle nostre scelte.

LIBERTÀ

Se non sappiamo cosa siano realmente quegli oggetti che si muovono nella nostra coscienza (le statuette sulla testa delle persone, di cui vediamo solo le ombre) e di cui ignoriamo il modo con cui le conosciamo (il pensiero vivente) non possiamo formulare giudizi certi né tantomeno azioni coscienti. Se mi sono perso nel bosco di notte ed ho due sentieri davanti a me ma non so dove portino, la mia scelta non potrà certo essere libera. Magari uno porta verso l’uscita dal bosco e l’altro verso un dirupo; se non so quale sia quello giusto scelgo a caso o, meglio, scelgo seguendo il mio istinto. Ma l’istinto non è cosciente per definizione, anzi è proprio l’espressione dell’azione del karma che opera nel sonno della mia coscienza.

Se seguo l’istinto sono nell’elemento della non-libertà.

Per conoscere dove portino i due sentieri – o cosa sia a proiettare le ombre sul fondo della caverna – devo essere prima di tutto padrone della mia attività conoscitiva. La padronanza stessa implica attività conoscitiva, vale a dire azione. Azione interiore. Qualcosa di attivo che presuppone esperienza interiore e non solo adesione – più o meno consapevole – a pensati miei o di altri.


TRADIZIONE E INIZIAZIONE

Ecco che ora possiamo tracciare la differenza sostanziale tra Tradizione e Iniziazione. La Tradizione, per quanto nobile ed elevata possa essere - una visione spirituale, una religione, una rivelazione - è pur sempre costituita da pensati, diviene dogma, conformità, invece che vita interiore.

L’Iniziazione, invece, evoca il concetto di azione, esperienza, attività pensante. Dunque una Via attiva verso la conoscenza, che passa attraverso uno sviluppo dell’attività pensante, mediante meditazione, concentrazione, ed altri appositi esercizi per sviluppare pensare, sentire e volere. Ricordate l’analogia: Smartphone/lingua greca/pensiero?

VIA DEL PENSIERO VIVENTE

Il pensiero vivente, (il Sole nell’esempio platonico) la forza predialettica può o proiettarsi nei pensati (ombre sul fondo della caverna) - come avviene ordinariamente nella nostra vita – oppure, se realizza la propria indipendenza da qualsiasi tema o oggetto (oggetti che proiettano le ombre) può divenire autentica forza conoscitiva di se stessi e del mondo: pensiero puro.

Il pensiero puro realizza la sua indipendenza da qualsiasi pensato e diviene strumento principe di conoscenza di sé e del mondo. E l’attività pensante è l’unica attività che, grazie alla contemplazione, può conoscere se stessa. Una via di conoscenza che, nella prosecuzione dell’opera di Rudolf Steiner è stata consegnata a noi da Massimo Scaligero. Parliamo di conoscenza attiva, esperienza reale, non conoscenza di pensati. Se sono solo pensati oltre a non consentirci la libertà, non ci permettono neppure la moralità.

Il compito appare dunque quello – una volta sperimentata la realtà e verità dei nostri pensieri – di immetterne i conseguimenti che abbiamo realizzato – la trasformazione di noi stessi – nel mondo esteriore, nel cosiddetto mondo reale.

E se abbiamo lavorato bene sulla Via del pensiero puro, elaborando il nostro strumento conoscitivo, e abbiamo imparato a far agire il nostro volere (le scelte, le decisioni, le azioni) in accordo con tale strumento, noi sostituiremo alla percezione esteriore una percezione interiore e la nostra azione non potrà che essere morale.
Io vedo un portafogli per terra (percezione esteriore). Posso o mettermelo in tasca o sostituire a quella percezione quella (interiore) che mi porta a consegnarlo a chi possa ritrovarne il proprietario.

Questa sostituzione della percezione è l’atto morale.

“Un passo avanti nella conoscenza e tre nella moralità”

Rudolf Steiner (Iniziazione)


FANTASIA MORALE

Ma la moralità può essere libera o imposta. Se seguo una morale imposta non sono libero.

Il concetto di fantasia morale implica l’indipendenza della mia scelta da leggi, religioni, consuetudini etc. e la consapevolezza delle mie scelte morali e dunque delle mie azioni. Se correttamente attuata, porta a identità di spiritualità e vita.

In una parola coerenza.

E torniamo alla citazione d’inizio per avviarci verso la conclusione di queste note.

“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.

Ora, in questo momento che può essere “gravemente distruttivo per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito” la fantasia morale dei singoli, di ciascuno di noi, ha bisogno di svilupparsi e di collegarsi a quella dell’altro.

L’altro, che, se lavora nella stessa mia direzione – anche se può avere opinioni diverse, se pensa in modo diverso da me – non è qualcuno da criticare ma da capire.


“Come mai l’altro ha un’opinione diversa dalla mia? Ma perché siamo uomini, perché l’altro è la gamba sinistra ed io sono la destra. Ora capisco. Lui non è costretto da qualcosa, la vede semplicemente diversamente, ma è la stessa cosa”. (Judith von Halle)

L’altro, le sue opinioni, le sue capacità, sono per me un arricchimento.

Perché? Perché egli mi offre l’occasione di capire quali siano le sue caratteristiche, le modalità del suo pensare/sentire/volere, mi dà la possibilità di accedere a pensieri, considerazioni, giudizi cui io – per la mia specifica natura – non saprei arrivare.

L’albero che vedo da una peculiare prospettiva – la mia – non è l’intero albero. Ho bisogno della tua prospettiva, della sua e di quella di chi ci sta sotto, di chi ci sale sopra etc. Solo allora potrò avere l’intera visione dell’albero. Ecco che diventa un preciso dovere dei ricercatori genuini della conoscenza e dei pionieri di un mondo etico – come vorremmo definirci oggi – quello di collegarci, scambiare opinioni, ascoltare gli altri e agire insieme agli altri. Quest’azione, se nasce dalla fantasia morale, ha un aspetto molto particolare; non venendo motivata da interessi personali, egoismi o dal comune denominatore dell’appartenenza a un partito, a una religione etc, può condurre ad una autentica fondazione di comunità.

FONDAZIONE DI COMUNITÀ

La fondazione di comunità ha bisogno di due presupposti: spregiudicatezza e fiducia.

La spregiudicatezza fa sì che noi ascoltiamo le opinioni dell’altro prima di giudicare. Lui la vede diversamente da me ma forse a me è sfuggito qualcosa. Non è detto che la sua opinione sia del tutto sbagliata.

La fiducia – che deve comunque venir rivolta a tutti gli esseri umani - è il tessuto connettivo tra gli esseri umani che lavorano per la verità, che condividono i miei stessi ideali.

La fondazione di comunità nel senso accennato è qualcosa di ancora prematuro sulla terra. È un legame invisibile che inizia a collegare esseri che percorrono una Via spirituale e ne condividono i frutti. È un seme di un’associazione tra esseri umani che non nasce dal minimo comune denominatore del denaro, del potere, dell’appartenenza allo stesso partito; è un seme fondamentale da porre oggi nella terra.

Piccola parentesi personale; vivendo negli USA ho conosciuto molte persone che in un Paese estremamente controllato e radicalmente materialista come gli Stati Uniti - in particolare dal 2001 - lottano per far emergere la verità, ad esempio di fatti come l’11 settembre o la vicenda di Al Qaeda o di Osama Bin Laden o l’assassinio di John F. Kennedy. Persone che, come il mio amico Massimo Mazzucco, con il quale abbiamo trascorso serate a discutere di questi argomenti, rischia in prima persona con le sue ricerche e i suoi documentari. Ebbene Massimo non segue una via spirituale e per certi versi le mie opinioni divergono dalle sue ma è un giornalista coraggioso che persegue la verità a proprio rischio e pericolo. Come posso non considerare questo lavoro connesso alla stessa mia battaglia, al mio impegno per un mondo più etico?

Stesso discorso vale per molte altre persone, ad esempio l’amico Paolo Franceschetti, che qui in Italia lavora da anni per smascherare poteri occulti che si sono macchiati di imposture e di crimini. Anche se su alcune cose che lui asserisce posso avere delle riserve, la sua lotta, il suo lavoro, l’impegno di una persona onesta e coraggiosa non può non farmelo riconoscere come un compagno di percorso. Io non posso pretendere di condividere ogni singola parola dell’altro – scagliandomi magari contro di lui se su 10 argomenti ce ne sono 2 o 3 su cui abbiamo opinioni differenti – ma devo mettere l’accento sulle istanze fondamentali che ci uniscono.

Altrimenti coloro che vogliamo smascherare, cui vogliamo impedire di degradare la terra, la politica, i media, il nostro futuro, avranno facile gioco con il più classico divide et impera.

Sembrano affermazioni lapalissiane, anche un po’ qualunquiste, ma proviamo ad interpretarle alla luce di quanto ho detto prima a proposito del pensare. Perché se queste affermazioni sono soltanto una generica convergenza con l’altro per il raggiungimento di un fine comune, allora non avrò fatto altro che riproporre con altra veste una alleanza politica, magari solo per arrivare al potere. Tuttavia, se vi applico la “griglia” di una ascesi del pensiero la questione cambia completamente. Non è più il fine quello che conta, ma è il mezzo. Perché il mezzo stesso – cioè il modo in cui io agisco su me stesso e nel mondo diventa d’incanto il fine che è quello di immettere nel mondo circostante l’azione magica di un pensiero etico, di una fantasia morale.

Non posso trovarmi d’accordo con l’altro per esempio sul vegetarianesimo e poi insultarlo solo perché non ha le stesse mie posizioni sull’agricoltura biodinamica o sul signoraggio. Ed è quello, purtroppo che vediamo capitare quotidianamente.

FIDUCIA E FRATERNITÀ

Quando Massimo Scaligero teneva le sue riunioni a Monteverde, a Roma, negli anni ’70, vi partecipavano l’estremista di destra e quello di sinistra, il benpensante e il carabiniere.

Poteva accadere che mi trovassi seduto tra un picchiatore fascista e un attivista di Lotta Continua. Eppure nulla ci divideva: bastava un’occhiata, una battuta del Maestro e tutto si chiariva – e schiariva – perché le persone e i loro apparenti contrasti si parlavano attraverso di lui. E lui portava la pace. Perché? Perché la visione particolare (politica, religiosa, intellettuale) – dei pensati – veniva illuminata, direi sgretolata, dalla visione spirituale, dal pensiero puro.

Per questo motivo una politica spirituale è una contraddizione in termini. È un ossimoro, come la ‘guerra umanitaria’ o il ‘fuoco amico’. Quello cui noi possiamo lecitamente riferirci è un movimento politico che prenda le mosse da uno sviluppo spirituale dei suoi membri. Portare pace deve diventare il nostro compito. In particolare oggi vediamo tante persone – anche entusiasticamente anelanti un mondo migliore, una società più giusta – che però commettono ancora il colossale errore di scagliarsi con odio verso gli altri identificando in certe persone o formazioni politiche o economiche il male assoluto, dimenticando il concetto fondamentale della corresponsabilità del male.

Se abbiamo questo governo, questi politici, non è solo perché li abbiamo votati, ma perché rappresentano il nostro attuale livello morale, sono l’icona del livello etico del nostro popolo. Una buona parte di questo popolo, di noi, si comporterebbe come loro, se solo avesse l’opportunità di essere al posto loro. Ora, in questo particolare momento di risveglio delle coscienze in cui sorgono movimenti molto forti come gli Indignados in Spagna, Occupy Wall Street negli USA, la differenza che dovrebbe caratterizzare ogni movimento i cui appartenenti vogliano conquistarsi un’esperienza spirituale del mondo è proprio questa: partire dalla consapevolezza della propria corresponsabilità per quel tanto di male, di violenza, d’ingiustizia che ci sono nel mondo e rispondere a esse con un pensiero libero – conoscere le cause e elaborare le azioni da mettere in campo - e con un giudizio - anche duro - nei confronti dell’azione, ma non di colui che la compie.

Oggi la palla è nel nostro campo, sta a noi tutti attivare quel pensiero che ci permette una conoscenza autentica di noi stessi e del mondo e che porta in sé l’elemento morale. Esso rappresenta l’unico terreno sul quale possa germogliare il seme della fiducia e della fraternità, condizioni indispensabili per uscire da ogni crisi, sia interiore che esteriore.

da
http://www.liberopensare.com/index.php/art...nsiero-in-crisi?

Spero che questa lezione possa essere di aiuto a tutti noi.
Se realmente si vuole cambiare il mondo,bisogna cambiare noi stessi

orso in piedi





























 
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view post Posted on 1/2/2013, 00:02

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Oggi posto un film,purtroppo visto da pochi.

Qui avete troverete di cosa tratta http://it.wikipedia.org/wiki/Zeitgeist:_Moving_Forward

Buona visione

Zeitgeist Moving Forward

Video

orso in piedi
 
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view post Posted on 5/2/2013, 22:39

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Tutto ciò che esiste è sostanza pensante