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Letture per accrescere se stessi...

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view post Posted on 3/9/2016, 10:53

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La sfida di Rudolf Steiner – Documentario sottotitolato in italiano

A centocinquant’anni dalla nascita di Rudolf Steiner, nel 2011, venne girato questo film-documentario che ripercorre i nodi biografici, le tappe del suo cammino spirituale e al tempo stesso testimonia la vitalità degli impulsi dati ad ambiti primari nella vita dell’uomo: l’educazione, la medicina, l’agricoltura, l’arte, la socialità.


“Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove stiamo andando?

Quasi nascoste nell’angolo in alto a sinistra del suo dipinto l’artista Paul Gauguin, ha scritto in francese queste tre domande. Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove stiamo andando?

Come molti ho speculato sulla natura dell’esistenza umana per molto tempo, e il mio lavoro come documentarista mi ha dato l’opportunità di considerare questi grandi misteri da molti punti di vista, rendendomi conto che molti dei più utili e provocatori contributi alla mia ricerca sono venuti dal lavoro del filosofo e pedagogista austriaco Rudolf Steiner.

Questo documentario tratta la vita di Steiner e il lavoro che le sue idee e le sue intuizioni hanno ispirato in tutte le aree della vita umana, sfidandoci a riflettere sulla vera natura umana.

Alle parole di Gauguin, cosa siamo? Steiner avrebbe forse aggiunto, e cosa potremmo diventare?“

La sfida di Rudolf Steiner
sottotitoli a cura di Agorastrea
scritto e narrato da Jonathan Stedall

Video

fonte www.liberopensare.com/video

da http://www.altrogiornale.org/la-sfida-di-r...to-in-italiano/

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view post Posted on 3/11/2016, 11:52

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Sincronicità: le coincidenze significative

14/06/2010 da zambello

La sincronicità secondo Jung e Pauli

Non dubito che la psiche concreta contenga immagini che chiariscano il segreto della materia. Si può rendersi conto di queste relazioni nei fenomeni sincronici e nella loro a-causalità. Attualmente, questi fenomeni non sono ancora che vaghe idee, ed è al domani che è riservato il compito di raggruppare esperienze che facciano un po’ di luce su questa incertezza.

Sulle prime potrebbe sorprendere vedere che sia stato Pauli a essersi occupato intensivamente, in modo teorico, della psicologia del profondo di Jung. Pauli – il razionalista e l’inesorabile fisico dallo spirito critico, soprannominato dai suoi colleghi “la coscienza vivente della fisica teorica” o ancora “il terribile Pauli.” Però, il “problema psicofisico” è sempre stato tra i suoi particolari obiettivi di interesse. In una lettera a Markus Fierz datata novembre 1949 Pauli scriveva:

” … la possibilità delle leggi della natura mi è sempre sembrata fondarsi sulla COINCIDENZA ARCHETIPICA delle nostre aspettative (psichiche) con un fenomeno naturale esteriore (fisico). Per l’organizzatore astratto, la distinzione “fisico-psichico” non esiste affatto. A questo proposito, mi sembrerebbe che il “pensiero scientifico” sarebbe soltanto un caso particolare tra possibilità più generali.

Prime idee di Jung sulla sincronicità

Gli studi di Jung sui “fenomeni inesplicabili” sono cominciati nel 1902 con la sua dissertazione “Psicopatologia dei fenomeni cosiddetti occulti” e sono connessi all’interpretazione archetipica della sincronicità. Secondo questa interpretazione, l’archetipo alla base dei fenomeni di sincronicità sarebbe un coordinatore della realtà psichica e materiale dove la coordinazione si sviluppa secondo il loro significato comune. Jung considera la psiche e la materia come due aspetti di una “unità” non divisa, che è inaccessibile per via diretta:

“Allo stesso modo in cui la psiche e la materia sono contenute in un solo e medesimo mondo, si trovano, inoltre, in contatto permanente e sono supportate – in ultima analisi – da fattori trascendenti INCOMPRENSIBILI; infatti, è possibile, e anche molto probabile, che la materia e la psiche siano due aspetti differenti della STESSA E UNICA COSA. I fenomeni sincronici mi sembrano volgere in questo senso : il “non psichico” potrebbe comportarsi come il “psichico”, e viceversa, senza che vi sia una relazione causale fra loro.”

Le concezioni di Jung si distinguono per principio da quelle di Freud, in particolare in relazione all’autonomia dell’incosciente, che [Jung] ha poi nominato la “realtà dell’anima”. Contrariamente a Freud, Jung si interessava soprattutto ai “grandi sogni” che hanno un significato NUMINOSO e nei quali si trovano dei contenuti simbolici i quali si incontrano spesso nella storia dell’umanità, come dei motivi mitologici o delle immagini primordiali che Jung, nelle sue prime opere, qualificava come “archetipiche.”

Il concetto di “principio sincronico” apparve molto discretamente, per la prima volta, in un elogio funebre per Richard Wilhelm nel Neuen Zürcher Zeitung del 6 marzo 1930:

“La scienza dell’ ‘Yi King’ non è basata sul principio di causalità ma su un principio che non è stato ancora nominato – perchè non appare nella nostra cultura – che chiamo provvisoriamente il PRINCIPIO SINCRONICO. Il mio lavoro con la psicologia dei fenomeni dell’inconscio mi ha costretto, già diversi anni fa, a cercare un altro principo esplicativo, perchè il principio di causalità mi è apparso insufficiente per spiegare certi strani fenomeni della psicologia dell’inconscio.”

Nelle sue Tavistock Lectures del 1935, Jung risponde a una domanda sul parallelismo psicofisico:

“Il corpo e lo spirito sono due aspetti dell’essere umano, e ciò è tutto ciò che noi sappiamo. Per questa ragione preferisco dire che le due cose sopravvengono assieme in un modo misterioso restandone qui, perchè non si può immaginare le due cose come una sola. Per il mio uso personale, ho concepito un principio che deve mostrare questo fatto di “essere assieme”, affermo che lo strano principio della sincronicità agisce nel mondo quando certe cose si producono in un modo più o meno simultaneo. comportandosi come se fossero la stessa cosa, pur non essendo tali dal nostro punto di vista.”

L’oriente e la sincronicità

“L’Oriente fonda il suo pensiero e la sua valutazione dei fatti su un altro principio. Non c’è nemmeno una parola che rifletta questo principio. L’Oriente ha certo una parola per questo, ma noi non la comprendiamo. La parola orientale è TAO…Io utilizzo un altra parola per nominarla ma è abbastanza povera. Io la chiamo SINCRONICITA’.

La sincronicità, secondo Jung, si riferisce a degli avvenimenti dove succedono cose nella realtà esterna che sono in corrispondenza significativa con un’esperienza interiore. I fenomeni sincronici sono delle coincidenze significative dove lo spazio e il tempo appaiono come delle grandezze relative. Sincronicità non vuol dire “nello stesso tempo” ma “con lo stesso senso”. La parte del fenomeno sincronico che si produce nella realtà esterna è percepita dai nostri sensi naturali. L’oggetto della percezione è un avvenimento oggettivo. Però Jung scrive:

“Eppure resta un avvenimento inesplicabile, perchè nelle condizioni dei nostri presupposti psichici, non ci si aspettava la sua realizzazione.”

Sincronicità e coincidenze significative

Naturalmente, la sincronicità non è una spiegazione, è, in primo luogo, il fatto di dare un nome ai fatti empirici che suggeriscono l’esistenza delle COINCIDENZE SIGNIFICATIVE. Jung ha sottolineato come, per ciò che riguarda la sincronicità, il principale ostacolo risiede nel fatto di vedere la sua causa nel soggetto mentre, dal mio punto di vista, la causa si trova nella natura dei processi oggettivi.”

La sincronicità rimette in questione il concetto fisico di OGGETTO, così come il concetto classico di SPAZIO e di TEMPO, e riguardano, quindi, anche i fisici interessati alle questioni filosofiche.

Jung si trascinò per anni le sue idee sulle “coincidenze significative”senza dare loro una forma definitiva; [inoltre] ha esitato per molto tempo prima di presentarle al pubblico. Dopo una conversazione con Pauli, nel novembre 1948, i due hanno iniziato uno scambio di lettere intensivo, nel quale Pauli ha incoraggiato Jung a redigere i suoi pensieri sulla sincronicità. Nel giugno 1949 Jung inviò a Pauli una bozza “circondata dappertutto da punti interrogativi” perchè la esaminasse in modo dettagliato. Pauli ha poi vivacemente preso parte all’ulteriore perfezionamento del concetto junghiano di sincronicità. Nei loro scambi di lettere (parzialmente) pubblicati, esce fuori come sia stata essenziale la critica costruttiva di Pauli. La versione definitiva di Jung è stata il risultato di molte revisioni – ispirate dai commenti critici di Pauli – ed è apparsa nel 1952 col titolo “La sincronicità come principio di relazioni acausali” in un volume pubblicato assieme a Pauli e intitolato “Spiegazione della natura e della psiche.” Quest’ultimo non è affatto un’opera completa di descrizione e delucidazione di questi argomenti complessi”, come è sottolineato da Jung nella prefazione da lui scritta, “ma unicamente uno studio per sollevare il problema.”

Secondo Jung, i fenomeni sincronici si comportano come delle casualità ripiene di senso. Sono caratterizzati dalla coincidenza – portatrice di significato – di un fenomeno fisico oggettivo, con un avvenimento psichico, senza che si possa immaginare una ragione o un meccanismo causale [tra essi]. Jung ha incluso, tra gli esempi di coincidenze significative, la telepatia, pratiche divinatorie come gli I – King, oltre alla tecnica d’interpretazione dell’astrologia, come anche gli effetti secondari spesso osservati in caso di decesso: un orologio si ferma, una foto casca dal muro, un vetro si spacca. L’esistenza di avvenimenti sincronici è spesso messa in dubbio, poichè sono rari o eccezionali. L’argomento più convincente sulla loro realtà è una tradizione millenaria e – in ultima analisi – la sola valida: la propria esperienza personale.

I fenomeni sincronici perdono molto del loro potere di convinzione quando sono semplicemente raccontati. Essi hanno una qualità NUMINOSA di esperienza, cosicchè è necessario sperimentarli di persona. La sola cosa che conta [in questi casi] è l’emozione viva e improvvisa generata [dall’esperienza sincronica]. Una discussione di questi fenomeni soggettivi scompagina le carte della scienza tradizionale, cosiddetta “oggettiva” però mai quelle di un esame serio [al riguardo]. Gli avvenimenti sincronici autentici hanno un carattere NUMINOSO [quindi personalissimo] e non è sempre facile divulgarli. Per non disperdere del tutto il concetto di sincronicità, si potrebbe considerare di restringerlo agli avvenimenti [davvero] senza precedenti e scioccanti.

Wolfgang Pauli e la sincronicità

Pauli era ricettivo alle idee di Jung sulle “coincidenze significative” soprattutto per due ragioni: innanzitutto, egli era preparato filosoficamente. Lo studio di Schopenhauer Il senso del destino, speculazione trascendente sull’intenzionalità apparente nel destino di un individuo, ha avuto su Pauli “un effetto di interesse duraturo e sembra averlo preparato per un futuro cambiamento nelle scienze fisiche e naturali.” Nel suo importante articolo del 1956, La scienza e il pensiero occidentale, Pauli scrive : “La vecchia questione di sapere se, in presenza di certe condizioni, lo stato fisico dell’osservatore potrebbe influenzare lo sviluppo del mondo materiale [esterno all’osservatore] non ha posto nella fisica attuale. La risposta era evidentemente affermativa per gli antichi alchimisti. Nel secolo XVIII, uno spirito critico come il filosofo Arthur Schopenhauer, ottimo conoscitore e ammiratore di Kant, ha considerato nel suo studio “Magnetismo animale e magia” che gli effetti – cosiddetti – magici erano ampiamente possibili e gli ha interpretati – nella sua terminologia particolare – come “influenze dirette della volontà che vanno oltre i limiti dello spaziotempo”. D questo punto di vista, non si può dire che delle ragioni filosofiche a priori siano sufficienti per rifiutare immediatamente simili possibilità.”

Ma l’interesse che portò Pauli alle “coincidenze significative” non era puramente accademico. Da giovane, Pauli era caratterizzato da una mentalità razionale estremamente specializzata, per via della quale ha poi incontrato serie difficoltà all’età di trent’anni. Nell’agosto 1934, scrisse al suo collega e amico Ralph Kronig:

“Dopo essere caduto in depressione nell’inverno 1931/32, ho cominciato lentamente a risalire la china. Ho quindi incontrato degli avvenimenti psichici che non conoscevo affatto prima d’allora e che chiamerei semplicemente L’ATTIVITA’ PROPRIA DELL’ANIMA. E’ per me indubitabile come vi siano cose che si sono sviluppate spontaneamente e che possono essere definite come SIMBOLI ; qualcosa di psichico e obiettivo allo stesso tempo, che non può essere spiegato da cause materiali.”

Questa sua crisi psicologica condusse Pauli a contattare Jung nel 1930, il quale lo affidò alle cure della giovane dottoressa Erna Rosenbaum, una debuttante nell’ambito [psicologico – psicanalitico]. Durante questa analisi di cinque mesi, e nel corso dei tre anni che seguirono, Pauli ha prodotto senza alcuna influenza diretta di Jung all’incirca 1500 sogni, dai contenuti archetipici sorprendenti.

Si può ricavare qualche informazione su questa attività propria dell’anima, come diceva Pauli, all’interno della monumentale opera di Jung, “Psicologia e alchimia.”

Pauli ha spesso fatto l’esperienza – come tutte le persone che hanno un’attività creatrice – di relazioni misteriose tra il suo lavoro sui problemi della fisica teorica e l’attività animistica incosciente. Aggiungiamo a questo come Pauli sia stato perseguitato, durante tutta la sua vita, da fenomeni molto strani – ciò che si è soprannominato “EFFETTO PAULI”. Si tratta del fatto che – confermato da fonti sicure – gli strumenti di misura avevano periodicamente delle perturbazioni o non funzionavano quando Pauli faceva irruzione all’interno di un laboratorio.

Simili effetti potrebbero essere considerati come una manifestazione del rovescio della medaglia riguardante il fisico teorico [in questione]. Pauli non era in buone relazioni con l’ingegneria; non aveva una buona manualità percepiva come inquietante e minaccioso il mondo della tecnologia. Questo stato di tensione i suoi colleghi lo percepivano bene, e tutti erano convinti che effetti “misteriosi e inquietanti” fossero emanati da Pauli.

Racconta il suo collega Markus Fiers:

“Anche specialisti della fisica sperimentale – persone obiettive e realiste – condividevano l’opinione secondo cui era proprio Pauli che emanava questi effetti strani. Per esempio, si credeva che la sua semplice presenza dentro un laboratorio generava un sacco di problemi nella conduzione di un esperimento: rivelava, diciamo così, la malignità delle cose. Era questo L’ “Effetto Pauli”. Per questa ragione, il suo amico Otto Stern, il celebre “artista dei fasci molecolari”, non l’ha mai lasciato entrare nel suo istituto. Non è affatto una leggenda, conoscevo benissimo Stern così come Pauli! Anche Pauli credeva assolutamente ai suoi effetti. M’ha raccontato come percepisse le sventure in anticipo nella forma di una spiacevole tensione e che, se poi il disagio preconizzato avveniva davvero, si sentiva bizzarramente libero e sollevato. Si può insomma considerare l’ ‘Effetto Pauli’ come un fenomeno sincronico.”

da: www.rossanosegalerba.splinder.com

Commento del Dott. Zambello

Anni fa, molti, seguivo in analisi un ragazzo bordeline. Era un angosciato, viveva in una struttura ossessiva con forti caratteri di narcisismo patologico. Era continuamente proiettato in fantasie onnipotenti che chiaramente gli creavano frustrazioni e alimentavano la sua angoscia. Tutto ciò nasceva da un Io molto debole che lo mettevano continuamente in contatto con l’inconscio, come non esistesse una vera struttura dell’Io. Nonostante ciò, una buona intelligenza ed un Super-Io molto sviluppato gli permetteva di avere una vita sociale apparentemente normale. Volendo semplificare in una metafora, diremmo che quel ragazzo era una corazza, sufficientemente forte entro la quale però si sprofondava quasi direttamente nell’inconscio. Perché vi racconto questo? Perché, proprio quel ragazzo, era continuamente oggetto, testimone, di fenomeni sincronici.
Il suo stesso linguaggio, l’approccio interpersonale che mise in atto sin dal primo incontro, era un linguaggio prevalentemente empatico: ti entrava dentro, tendeva fortemente alla fusionalità. Quando lo incontrai la prima volta, avvertii immediatamente che mi stava “leggendo dentro” che fra me e lui non vi era più spazio. Certamente viveva una situazione di forte sofferenza psichica. E’ stata in effetti una analisi lunga difficile dalla quale peraltro é uscito bene. Durante il periodo in cui l’Io non era ancora sufficientemente strutturato, mi portò numerosi episodi, a volte anche eclatanti che definiremo: sincronicità. Ne riporto uno: ritornava un giorno, era domenica sera di tardo autunno, quasi le 19, in macchina dal paese della casa paterna, da un’altra Regione d’Italia. Il mio paziente si era trasferito da poco a Milano e oltre a non conoscere bene la città non era neanche molto sicuro nella guida. Mancava poco più di un’ora al momento in cui avrebbe dovuto prendere servizio come portiere di notte in albergo sito in una via a senso unico in zona Porta Romana. Pressoché alle 19 stava percorrendo l’autostrada Venezia Milano e si rende conto di non conoscere la strada ma “voleva assolutamente” arrivare in tempo a prendere servizio alle 20. Capisce che non ce la poteva fare. Decide di uscire a Monza e di ” lasciarsi andare”. Esce dall’Autostrada, ricorda che c’era un po’ di nebbia e comincia ad “andare a caso”. Alle 20 meno qualche minuto é davanti all’albergo. Ho provato più volte fare quel percorso che conosco bene e, non ci ho mai messo meno di un’ora e mezza. Cosa è presumibilmente successo? Il mio paziente, in quella situazione di ansia, necessità del Super-Io, é sprofondato del suo inconscio, si é lasciato guidare da lui, recuperando tutte le conoscenze che certamente aveva incamerato nei precedenti percorsi e ha ottenuto il risultato voluto. Puro fenomeno sincronico. Esempio direi, clinicamente interessante, di come funzioniamo. Tanto più siamo fragili a livello dell’Io, tanto più é possibile che si manifestino fenomeni come quello che vi ho appena raccontato.
Ci sono subito alcune osservazioni da fare. La prima é che non sempre ad una debolezza dell’Io corrisponde una produzione di fenomeni sincronici, la seconda é che al miglioramento clinico, inevitabilmente corrisponde una, momentanea, limitazione di questi. Momentanea, perché é verosimile che nell’evoluzione verso la realizzazione del Sé, quella che Jung chiamava Individuazione, l’uomo e, per mia fortuna ne ho incontrati tanti, raggiunga una stato dove l’equilibrio tra Io e l’Inconscio é tale da permettergli di ” utilizzare” i fenomeni sincronici che da quel momento vengono chiamati “Miracoli”.
La sincronicità non è magia. La sincronicità non ha niente a che vedere con il mondo “buio” dell’esoterismo, la sincronicità è il respiro, il battito vitale del tutto, dell’universo al quale apparteniamo come cellule di un unico corpo.

fonte http://www.psicoterapiajunghiana.com/sincr...-significative/

orso in piedi

 
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view post Posted on 17/1/2017, 16:29

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Consapevolezza: L’arte di far accadere

Ciò che è dentro risuona fuori.

Ciò che è dentro di noi ci circonda, affermava Rainer Maria Rilke. Infatti, come siamo fatti dentro determina gli avvenimenti che ci accadono. Richard Willhelm, il primo traduttore occidentale dell’I Ching (l’antichissimo libro di divinazione cinese), raccontò un giorno, all’amico Carl G. Jung, dell’uomo della pioggia.

Willhelm viveva in Cina e, in quel periodo, si trovava in una regione dove non pioveva da moltissimo tempo e la siccità imperversava. Come riporta Willhelm, si incominciarono a fare delle offerte alle divinità, ma la pioggia non veniva. I Protestanti iniziarono a pregare, ma la pioggia non veniva. I Cattolici fecero dire delle messe, ma la pioggia non veniva. A questo punto qualcuno parlò dell’uomo della pioggia. Si decise così di andarlo a prendere. Il viaggio fu lungo e quando infine questi arrivò, un uomo vecchio tutto raggrinzito, chiese di poter stare da solo da qualche parte. Gli fu data una piccola casa dove l’uomo si ritirò. Tutti aspettavano, il primo e il secondo giorno passarono senza che succedesse nulla. Al terzo giorno il cielo si rannuvolò e iniziò a piovere. Willhelm, ovviamente, si chiese cosa mai avesse fatto quell’uomo per riuscire a far piovere. Lo andò a trovare e glielo chiese. L’uomo rispose tranquillamente di non aver fatto proprio nulla. Stupito e al tempo stesso intrigato da quella risposta Willhelm provò con un’altra domanda. Questa volta gli chiese che cosa avesse fatto da quando si trovava lì. L’uomo spiegò che veniva da una regione dove la popolazione era in armonia con il Tao, ovvero in sintonia con l’universo, mentre la regione dove non aveva piovuto per così tanto tempo, non lo era. Quando l’uomo era arrivato, anche lui si era trovato fuori armonia, così ritirandosi nella casa che gli era stata data era ritornato in sintonia con il Tao, poi, ovviamente, la pioggia era arrivata. L’ambiente aveva risposto sincronicamente al suo stato di coscienza.

Jung, il famoso psichiatra svizzero, nella prefazione all’edizione inglese del Libro dei Mutamenti, spiega come la mentalità cinese assomigli molto a quella del fisico moderno, che definisce il modello dell’universo come una struttura psicofisica. Le situazioni sono, infatti, immagini leggibili e comprensibili, in quanto frutto della sincronicità. Jung spiega, come del resto fa pure la nuova fisica, che l’insieme degli accadimenti avviene perché corrispondente allo stato interiore. Se noi fotografassimo un attimo del film della nostra esistenza e analizzassimo tutte le situazioni in atto – sia quelle appartenenti alla realtà materiale che quelle appartenenti alla realtà interiore dell’individuo -, la coincidenza che porta quelle situazioni individuate ad accadere tutte “nel medesimo momento e nel medesimo luogo” è data dal fatto che “sono tutti quanti della medesima qualità”, cioè gli eventi materiali “sono della medesima qualità degli eventi psichici”. Chiaramente, l’impossibilità di eseguire controlli statistici – impossibili perché a ogni momento corrisponde la sua unica e irripetibile realtà – porta la scienza ufficiale a storcere il naso di fronte a tali affermazioni!

La dottoressa Giuliana Conforto, fisica e studiosa di antiche dottrine, così scrive nel suo libro Luh, il gioco cosmico dell’uomo: “ L’uomo è il punto focale dell’universo. Il centro tra il mondo ‘reale’ esterno e quello immaginario interno, tra due mondi che sono l’uno lo specchio dell’altro e tra i quali l’uomo opera in entrambi i versi : con l’osservazione riceve immagini, e con l’immaginazione le trasmette – trasforma cioè idee e progetti in realtà esterna. Non è quindi solo uno spettatore passivo di uno spettacolo straordinario, ma anche un coautore attivo della sua realtà. Gli scienziati hanno coniato un nuovo termine per definire il suo ruolo: in inglese partecipator, per indicare colui/colei che non solo osserva, ma anche agisce, interpreta, trasforma e genera tutti quegli strumenti culturali, economici, politici, sociali, industriali, etc. con i quali crea la sua realtà. L’uomo è la sintesi tra esperimento e teoria, tra filosofia ed esperienza di vita: il tramite tra l’infino e il finito esterno, tra l’attimo fuggente del presente e l’eternità.”

L’arte di far accadere
Come abbiamo visto, l’etere, l’universo, è intriso di un certo tipo di energia in cui sono contenute tutte le informazioni vitali di ogni tipo. Questa energia mette in grado i sistemi biologici di rigenerarsi – grazie all’innata capacità di assimilare questa stessa energia vitale. Il nostro campo energetico, quindi il nostro intero organismo e la nostra realtà, si equilibrano, si rinforzano e si rigenerano – tendendo al loro meglio.

Questo, ovviamente accadrebbe naturalmente se noi essere umani non bloccassimo il libero fluire di questa energia con tensioni, irrigidimenti e convincimenti limitanti! Tuttavia, alcune persone, in modo particolare gli uomini sacri di culture lontane dal nostro mondo “civilizzato”, individui cioè che si dedicano al mantenimento del rapporto con la divinità – ritenuta la fonte inesauribile di energia vitale – sembrano essere fra i pochi ancora in grado di entrare consapevolmente in contatto con questa fonte e di generare degli accadimenti che a noi occidentali paiono miracolosi.

“La realtà osservata è solo una piccola porzione di una realtà sostanziale, ancora sconosciuta e misteriosa, di cui oggi la fisica definisce la consistenza: bel il 90% della massa totale calcolata è ‘oscura’, inosservabile e solo il 10% è invece osservabile attraverso quell’arcobaleno infinito che è la luce. L’universo effettivamente osservato, poi, con i suoi miliardi di stelle e galassie, è, a sua volta, una minima parte di questo già misero 10%. Siamo di fronte a una realtà infinita ed eterna che non possiamo osservare, ma che oggi calcoliamo e, da sempre, saggi e filosofi hanno intuito e suggerito. Infiniti universi che, ed è questa la scoperta straordinaria, non sono lontani negli spazi siderali, ma qui: paralleli, coesistenti, congiunti con la realtà che osserviamo. (…) Noi, piccoli uomini, siamo oggi in grado di (…) calcolarla, (…) ignari che potremmo cambiare tutto, anche l’universo osservato. L’universo osservato dipende infatti dall’osservatore, cioè dall’uomo: questa è la scoperta dell’ultimo secolo, più strabiliante di tutte, sancita dalla fisica quantica.” (Luh, il gioco cosmico dell’uomo)

La dott.ssa Conforto continua poi la spiegazione portando l’esempio suggerito dal fisico quantico Schrødinger (già ampiamente illustrato nell’articolo “chi crea la realtà”).

A un elettrone è data la scelta di passare in una di due fenditure, che stanno all’ingresso di una scatola chiusa in cui si trova un gatto. Dietro a una sola di queste due fenditure c’è un’ampolla contenente del veleno che, se l’elettrone dovesse sceglierla come punto di passaggio, causerebbe la sua rottura riversando il veleno nella scatola e determinando così la morte del gatto. In questo esperimento la scelta dell’elettrone non può essere osservata, altrimenti l’osservatore, con la sua presenza, potrebbe, evidentemente, influenzare la scelta. Durante l’esperimento il gatto – che non è possibile osservare fino a quando non si aprirà la scatola – è potenzialmente sia vivo che morto, ma solo l’osservazione diretta da parte dell’osservatore determinerà la risposta finale.

Ora, fino a qua l’esperimento sembrerebbe chiaro a tutti: in base alla scelta “autonoma” dell’elettrone, l’osservatore constaterà poi l’una o l’altra evenienza. Tuttavia, come continua la dottoressa, la fisica quantistica ci stupisce affermando che è “la coscienza dell’osservatore che fa precipitare lo stato del gatto, a priori equi-probabile tra i due stati di vita e di morte, in una delle due opportunità.” Poiché tutto il creato è intriso di questa forma di energia primaria, questa specie di ‘collante’ che nutre e tiene uniti e in connessione tutti gli aspetti dell’universo, lo stato d’animo dell’aspettativa dello sperimentatore è il fattore determinante la scelta, che credevamo autonoma, dell’elettrone. Quindi, anche se l’esperimento viene fatto in un ambiente completamente isolato, come può appunto essere un ambiente da esperimento scientifico, la connessione esistente determina l’influsso del campo energetico umano su quello molto più piccolo dell’elettrone!

“Per garantire l’oggettività l’esperimento deve essere indipendente dalle influenze dell’ambiente; il laboratorio è isolato il più possibile dalle interazioni esterne. Malgrado queste precauzioni, l’oggettività non c’è, perché a progettare l’esperimento e a esaminarne i dati c’è sempre il soggetto, con i suoi limiti di osservabilità e gli schemi teorici simili a quelli di tutti gli altri soggetti. (…) Il principio di indeterminazione di Heisenberg pone in evidenza la dipendenza reciproca tra soggetto osservatore e oggetto osservato.” (Luh, il gioco cosmico dell’uomo)

In sintesi si può dire che in questa energia primaria tutto è presente, ogni singola realtà è possibile. L’Energia precipita nella materia, si trasforma cioè in materia per così dire “densa”, richiamata dalle singole frequenze corrispondenti, con cui entra in risonanza – cioè dalla consapevolezza, convinzione, aspettative dell’osservatore – dove, per noi esseri umani, non dimentichiamolo, queste convinzioni sono spesso indotte. Ampliando la consapevolezza noi cominciamo a percepire che tipo di situazioni attiriamo nel nostro universo e, ovviamente, come possiamo richiamare quelle che, effettivamente, rispondono alle nostre reali necessità. La convinzione – o esigenza – è ciò che indirizza il precipitare dell’energia nella materia.

– Ricordiamo però che questo si riferisce primariamente a ciò che sta al di sotto della coscienza umana, quindi ai regni sottostanti. Quando l’individuo si relaziona alla società umana si rapporta ad altri “re” dei loro rispettivi “regni” , quindi l’influenzamento reciproco che avviene si determina in base alla maggiore o minore genuinità, forza, autorità, convinzione esercitate sull’altro. Quanto più è vero e deciso il messaggio inviato, tanto maggiore sarà l’influsso determinato.

Ricapitolando possiamo dire che tutto ciò che entra in contatto con noi, sia materiale che mentale, lascia un’impronta dentro di noi, determinata dal lavoro di confronto che noi consciamente o inconsciamente facciamo verso questo elemento estraneo entrato nel nostro campo energetico. Se l’elemento presenta una struttura più forte e potente della nostra, ciò determinerà in noi quei cambiamenti necessari a integrare l’”interferenza” – o perché convinti della sua validità oppure perché troppo deboli per rifiutarla. Se invece il nostro campo energetico sarà abbastanza forte e consistente potrà eliminare l’interferenza e divenire a sua volta interferenza nell’altro campo energetico.

Non bisogna inoltre dimenticare il fattore tempo. Il tempo è l’elemento indispensabile per nutrire la coscienza e permetterle di assimilare il nuovo stato. Una bella poesia di Peter Rosegger così dice:

“Ciò che seminai nella furia,
crebbe in una notte,
rigogliosamente,
ma la pioggia lo distrusse.

Ciò che seminai con amore,
germinò lentamente,
maturò tardi,
ma in benedetta abbondanza.”

Ci vuole una certa dose di tempo e volontà per interferire e forgiare diversamente dal suo stato attuale un qualcosa che è già materializzato nella realtà fisica (per es. nel caso della realtà/regno di un altro individuo), in quanto la sua tendenza – dettata dalle leggi della natura – è quella di riprendere la sua forma solita e abituale. A questo punto entra in gioco la determinazione, la costanza nel mantenere la propria attenzione e aspettativa focalizzati sull’attualizzazione dell’idea.

Con uno stato d’animo di esigenza, di convincimento, aspettativa certa, quindi di sicurezza d’intento ci si sintonizza su quelle determinate frequenze, corrispondenti al proprio intento, e si informa il proprio campo energetico a materializzare quell’accadimento. Ovviamente bisogna nutrire e rinsaldare il proprio campo energetico così che sia abbastanza forte e potente per realizzare l’intento. È come se si creasse una specie di “vortice” d’energia che, poco alla volta, acquista forza e forma finché non si condensa in materia. Quanto più energetico è il nostro veicolo fisico, tanto maggiore e intense saranno le frequenze da noi emesse nel creare quel “vortice”.

Si faccia tuttavia attenzione, perché se la nostra intenzione perde il suo “ardore” e la sua fede e diventa mera ossessione, la tensione generata da questo stato compulsivo disturba e/o blocca il libero scorrere dell’energia primaria, ritardando, o addirittura allontanando il risultato. Infatti l’ossessione consuma la nostra energia, di conseguenza, l’energia richiamata, per risonanza, non potrà essere di consistenza maggiore della nostra – quindi troppo debole per materializzarsi. Si cade nell’ossessione quando, spesso senza accorgersene, ci si tende così tanto verso la meta, e lo sforzo consuma la nostra energia vitale. Diventiamo così deboli, vulnerabili e più facilmente preda dei campi energetici altrui – e, ovviamente, sempre più stanchi! Per creare la nostra esistenza dobbiamo stare bene, avere abbastanza energia a disposizione e l’ardore necessario, così da superare tutti gli eventuali ed inevitabili ostacoli sul cammino.

I Guardiani della soglia

Non bisogna lasciarsi contaminare da sostanze e impressioni negative, bisogna con ferma ma gentile disciplina esercitarsi ad allontanarli e sviluppare al loro posto il senso di fiducia. Come disse qualcuno, bisogna superare il pessimismo della ragione e sviluppare l’ottimismo della volontà. Attenzione però, se si è “scarichi”, le negatività, i dubbi, le ansie, i timori… avranno la tendenza a farla da padroni. Sono i Guardiani della Soglia che ci impediscono la libera entrata nel livello di una maggiore felicità e realizzazione. Bisogna qui saper rispondere con determinata volontà di fiducia per non lasciare dilagare a macchia d’olio quegli stati subdoli, che in poco tempo ci dilanierebbero. A volte, questo periodo di purificazione dagli stati negativi può risultare decisamente spiacevole, faticoso e frustrante – occorre riuscire a sviluppare tutta la propria capacità di fiducia, la propria forza interiore e una grande pazienza per superare questi momenti. La vita di ogni santo e di ogni grande maestro è costellata da momenti di prova terribili. Si comprende bene come il “Paradiso” non sia per i titubanti, infatti, per poter superare le prove, bisogna proprio credere in ciò che si vuole raggiungere, con tutto l’ardore del proprio cuore!

San Giovanni della Croce, dapprima discepolo e in seguito guida spirituale di Santa Teresa d’Avila, descrive questo percorso come la salita del monte Carmelo nella notte oscura dell’anima. Uno dei momenti più critici, dopo aver superato le prime due fasi di purificazione dei sensi e delle prove attraverso la fede, è proprio quella della ‘grande tenebra dell’anima’, dove nel buio interiore più totale tutto tace, non c’è più risposta, anche l’atto di fede sembra essersi ammutolito in un silenzio, forse dettato dalla durezza della prova… Infine, proprio in quella tenebra totale, avviene l’unione dell’anima con Dio.

– E, a questo punto, la Provvidenza si muove, come ‘magicamente’ il passo viene fatto e tutto accade per rispondere alle nostre esigenze!

Paulo Cohello, nel suo poetico libro L’Alchimista, così descrive questo processo:

“Prima che un sogno si realizzi l’Anima del Mondo mette alla prova tutto ciò che hai imparato. Non lo fa perché è maligna, ma perché, oltre a realizzare i nostri sogni, possiamo padroneggiare gli insegnamenti ricevuti lungo il cammino. Quello è il punto dove la maggior parte rinuncia. È il punto dove – come dicono nel linguaggio del deserto – ‘si muore di sete proprio quando le palme appaiono all’orizzonte’. Ogni ricerca inizia con la fortuna del principiante. E ogni ricerca termina con una difficile prova per la vittoria.”

Marina Alessandra
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view post Posted on 6/2/2017, 11:49

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Fulvio Vignoli – La luce alla base della Coscienza…e forse della Creazione stessa?

La coscienza è fatta di luce? Si tratta di una possibilità concreta. È quello che afferma la “Teoria del super dominio di coerenza”[1] elaborata da Fulvio Vignoli, psicologo italiano e studioso di neuroscienze cognitive.

Sappiamo, ormai da molti anni, che gli organismi viventi emettono una luce ultradebole ribattezzata “emissione biofotonica”: si tratta di un rilievo sperimentale, non di una congettura. Bene, a partire da questo fenomeno, Vignoli ha elaborato la sua teoria, ricollegando gli assunti della “Teoria della coerenza elettrodinamica quantistica” (di Emilio Del Giudice[2], Giuliano Preparata ed altri colleghi dell’INFN di Milano), agli studi sulle onde Gamma[3] (emissioni sul range da 35 a 80 Hz) prodotte in maniera selettiva dal cervello nello stato di veglia. In poche parole, la luce, in base alla teoria di Del giudice e colleghi, emergerebbe come il grande coordinatore delle attività della materia, proprio sulla base del lavoro di frequenza: in questo modo, a partire dalla “risonanza”, la materia sarebbe orchestrata a realizzare le innumerevoli reazioni chimiche che permettono la vita a tutti i livelli. Allo stesso modo, il cervello subirebbe un lavoro di raccordo delle sue attività, grazie al double biofotonico corrispondente all’attività selettiva “gamma”: questo “double” elettromagnetico gamma corrisponderebbe, secondo Vignoli, alla sostanza stessa di cui è fatta la “coscienza”, quella che nei secoli la cultura religiosa, popolare, letteraria, filosofica, ha chiamato “anima”. Questa teoria concepisce quindi il fenomeno “coscienza” ed il fenomeno “vita”, in generale, come frutto di una medesima processualità di base che si ripete nel vivente, configurando gli organismi come funzionanti ed esistenti su base frattale: la processualità di base che permette la vita è anche quella che dà luogo alla nascita ed all’espressione della coscienza.

Nello sviluppo di questa teoria, vengono citati molti dati sperimentali a sostegno, sul ruolo della luce negli organismi viventi, e si propone soluzione a problemi teorici annosi, sul piano neuroscientifico, come quello del “binding problem” (dove vengono sintetizzati i risultati di processa mento delle reti nervose, in maniera tale che si abbia l’impasto unico della coscienza?) chiamando in soccorso la fisica quantistica, senza per questo scontrarsi con i problemi legati alla “decoerenza”, che è il vero grande scoglio su cui si sono infranti, fino ad ora, tutti i tentativi “seri” di coniugare la fisica quantistica ai fenomeni della vita (la luce non subisce effetti di cancellazione ai regimi energetici del vivente).

La teoria di Vignoli, tra l’altro, facendo della luce l’argomento portante, va a riferirsi anche a fenomeni prodigiosi come quello dell’entanglement temporalmente differito, o “cancellazione quantistica a scelta ritardata”[1], che permetterebbero forme di legame elettromagnetico anche tra fotoni esistenti nel presente e fotoni già assorbiti, ovvero esistenti nel passato!

Se confermati, gli studi di questi ultimi anni su tale fenomeno potrebbero farci trovare nelle prodigiose proprietà della luce l’essenza stessa della “memoria del cosmo”: in tal senso, tutti i fenomeni dell’Universo in quanto dotati di una radiazione elettromagnetica, potrebbero avere tendenza a ripresentarsi nella fenomenologia dell’esistente, in una dialettica affascinante che fa pensare alla “eternità delle forme”, nei termini che possono richiamare concettualmente il “Mondo delle Idee” di Platone, oltreché il concetto scientifico, molto più attuale, di “Campo Morfogenetico”, teorizzato dal biologo inglese Rupert Sheldrake[2]. Tutto quanto viene ad esistere, conoscerebbe quindi una sua forma di eternità…anche la nostra coscienza, ed il nostro corpo!!

In definitiva, i contenuti della teoria del super dominio di coerenza, come l’autore ripete più volte, invitano ad altri approfondimenti di ricerca, seguendo una pista teorica semplice e metodologicamente robusta, ed allo stesso tempo strizzando l’occhio a grandi meraviglie esistenti nella nostra dimensione fisica: nella luce potrebbe esservi il segreto non solo della “Coscienza”…ma della “Creazione” stessa. Possiamo quindi dire che nel “Fiat lux” di biblica memoria…potrebbe celarsi, sorpresa delle sorprese, una grande, inaspettata verità scientifica!!

[1] Vignoli F.,“La teoria del Super Dominio di Coerenza. La coscienza come prodigiosa proprietà della luce”, Phasar edizioni, Firenze, 2016.
[2]“La dinamica dell’acqua all’origine dei processi di metamorfosi degli organismi viventi, Del Giudice E., Spinetti P:R:, Tedeschi A. , Pubblicato in mdpi.com, 2010.
[3] Vedi risultati di ricerca in: Crick F., La scienza e l’anima, 1994, Rizzoli, Milano. Kock C., La ricerca della coscienza, 2007, UTET, Torino.
[4] Vedi gli studi di Kim, Marlan, Scully, Scarcelli, Greene, Yu, reperibili anche sul web.
[5] Sheldrake R., “L’ipotesi della causalità formativa”, Red edizioni, 1998, Como.

Fulvio Vignoli (1968), psicologo libero professionista, già autore di “Pensare il modello standard in psicologia Clinica. Fare psicologia superando in via definitiva le scuole di pensiero”, 2009, Boopen, Napoli (il libro è stato adottato come lettura consigliata alla cattedra di Psicologia Clinica del professor Lucio Sibilia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, cattedra di Psichiatria, Università “La Sapienza”, Roma), è studioso di Psicologia Clinica e Neuroscienze cognitive, oltreché cultore di Fisica, Cosmologia e Scienze naturali in genere. Ha anche svolto attività di formazione, selezione del personale, insegnamento, ed è stato per il triennio 2005-2008 Giudice onorario al tribunale dei minorenni di Perugia; dello stesso Foro di Perugia è CTU.

fonte http://www.altrogiornale.org/fulvio-vignol...eazione-stessa/

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view post Posted on 17/3/2017, 11:48

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Hara – La forza dell’energia originaria – Massimo Beggio

In un convegno a Verona del Settembre 2002 dal titolo “Curare e guarire come Via di conoscenza” introducevo alcune riflessioni sul tema di Hara citando una frase circa la malattia e la guarigione tratta da un libro di un autore tedesco, Karlfried Von Durckheim. La frase in questione dice: “Non vi è malato la cui guarigione non sia ostacolata anche da una intima tensione o contrazione. Del pari, non vi è guarigione che non sia agevolata dal risolversi di tali nodi. Proprio nella misura in cui tensioni siffatte sono connesse con la paura di un Io preoccupato o protervo, esse si sciolgono quando l’uomo apprende l’arte di mettere da parte l’Io e di affidarsi a quelle forze più profonde alle quali l’Hara certamente lo apre.”
Hara è uno di quei termini piuttosto usati nel mondo delle discipline di origine giapponese (Shiatsu, arti marziali ed altre cose ancora).

Nei corsi di Shiatsu, tanto per fare un esempio, gli allievi sono invitati ripetutamente all’uso di Hara nella tecnica di pressione. Ritengo però che, in genere, non sia abbastanza chiaro a cosa ci si riferisce quando si fa uso di questa parola. Credo che molti, tra i cultori di queste ‘arti’ di origine giapponese, ritengano che l’idea di Hara si esaurisca nell’ambito delle tecniche specifiche delle loro discipline e che non possa avere attinenza con nient’altro. Quindi che si tratti di qualcosa che riguarda solo ed esclusivamente quel loro mondo particolare. Pochi forse pensano che l’essere in contatto con il proprio Hara possa andare ben oltre la specificità della loro ‘arte’ e possa avere il significato di un atteggiamento più ampio che coinvolge il nostro modo di essere e di relazionarci con la vita.

Nella veste di insegnante di Shiatsu, quando mi capita l’occasione di parlare dell’Hara mi piace fare qualche esempio per aiutare a comprendere come questo atteggiamento trova applicazione anche nella quotidianità di molti piccoli gesti. Spiego, ad esempio, che c’è sicuramente un ‘modo Hara’ di stringere la mano a una persona, oppure di abbracciarla, o di porgerle un oggetto, di servirle una tazza di thè (o un piatto di spaghetti, tanto per essere meno orientali). Credo anche che ci sia un ‘modo Hara’ di sferrare un pugno o di dare una carezza. E penso che questa modalità permetta di rapportarci con l’altro in un modo molto più autentico e più sentito. E’ come se, nel rapporto con l’altra persona, manifestassimo una ‘presenza’ ed una qualità di gran lunga superiori allo standard abitudinario. Questo ‘modo Hara’ di essere e di rapportarsi è un miscuglio di più cose: comprende il manifestare una certa ‘energia’ nei gesti che facciamo e comprende anche una certa ‘intenzionalità’ e una certa ‘determinazione’ nel nostro agire.

Questo dell’agire con Hara è un modo che si colloca oltre le parole e oltre la mente razionale e che l’altra persona però riesce a cogliere molto bene. A volte, in quella stessa persona, capita di leggere addirittura un moto di stupore. Forse perché l’atteggiamento con il quale ci proponiamo non è troppo usuale nella vita di relazione e l’altro ne rimane quasi turbato (e in qualche modo anche affascinato). Nell’ambito della pratica dello Shiatsu, questo modo di essere corrisponde a quel qualcosa in più che possiamo sentire in una pressione e che la riempie di quella qualità che la rende di molto superiore rispetto ad un’altra. Questi sono però solo alcuni aspetti abbastanza marginali. Continuando nel nostro discorso vedremo che l’essere in contatto con Hara può significare molto di più di quanto abbiamo finora detto.

Come ben sappiamo la parola è di origine giapponese. Il modo come questa parola viene usata in alcune espressioni della lingua giapponese è molto interessante ai fini del discorso che stiamo facendo. Una di queste espressioni, per esempio, è la seguente: “Hara no aru hito”, che letteralmente tradotta significa “L’uomo che possiede Hara”. Il senso è quello di indicare colui (o colei) che costantemente nella propria vita è in una dimensione di collegamento con il proprio Hara. In una traduzione ancora più letterale la frase in questione diventa: “L’uomo che possiede un ventre”. Detto questo possiamo allora considerare la parola ‘ventre’ (o anche addome, o pancia ecc.) come una traduzione possibile della parola giapponese Hara. E’ evidente però che, poiché la pancia è un bene di tutti, il significato che i giapponesi vogliono dare a questo ‘Ventre’ va ben oltre questa particolare zona del nostro corpo. Anche se, lo vedremo, tutto l’insieme dei concetti legati alla parola Hara trova poi un suo riferimento ed una sua collocazione ‘anatomica’ proprio in zona addome, esattamente in un’area interna e profonda che si trova collocata a circa quattro dita sotto l’ombelico.

Il nostro autore tedesco, che ho citato in apertura, è un esperto di cose giapponesi ed ha dedicato un intero libro su questo argomento – Hara: il centro vitale dell’uomo secondo lo Zen – Edizioni Mediterranee. In questo libro troviamo un commento che può aiutarci a capire meglio questa espressione giapponese. Egli scrive:

“…il significato complessivo di questa espressione (Hara no aru hito) è ‘l’uomo che possiede un centro’….. Colui che manca di un centro perde facilmente l’equilibrio, mentre chi lo ha lo conserva sempre. In più, in lui vi è qualcosa di calmo e che tutto abbraccia. Ha come una ‘ampiezza umana’. L’espressione Hara no aru hito significa anche questo, significa un uomo che ha una grandezza d’animo, che è generoso e che ha ampie vedute…. L’uomo che ha un centro giudica in modo sereno ed equilibrato, ha il senso di ciò che è importante e di ciò che non lo è. Lascia tranquillamente che la realtà gli si avvicini, nulla lo spaventa, nulla altera la sua calma prontezza ad intervenire in modo adeguato. Non si tratta di insensibilità ma dell’effetto di una data costituzione interiore da lui realizzata, caratterizzata da una elasticità ‘in profondità’ che gli permette di prendere posizione nel modo giusto di fronte ad ogni situazione, con naturalezza e con calma…. In un dato frangente sa quel che deve fare, non lasciando che nulla lo sconvolga.”
Diversamente, continua Von Durckheim,“…’l’uomo che non possiede un ventre’ (che non possiede Hara) è esattamente l’opposto di tutto ciò. Gli manca una misura divenuta per lui una specie di seconda natura. Così egli reagisce a caso, in un modo puramente soggettivo, non distinguendo ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Il suo giudizio non si basa sulla realtà ma risente di elementi contingenti personali, come lo stato d’animo, l’umore, lo stato dei suoi nervi. Si spaventa ed è nervoso, non perché sia particolarmente sensibile o i suoi nervi non siano a posto ma perché gli manca l’asse che gli permetterebbe di ‘non uscire dal proprio centro’ e di assumere in ogni situazione un atteggiamento adeguato agli stimoli che riceve e conforme alla realtà. E’ anche un individuo molto strutturato e rigido, mosso unicamente dalla testa oppure dall’emotività. Di fronte ad una situazione grave reagisce con ottusa ostinatezza, o resta senz’altro disorientato.”

In questa visione Hara è quel qualcosa che ‘centra’ un individuo e che gli conferisce un equilibrio nella vita. Un equilibrio a tutto campo: sia nell’aspetto propriamente fisico (Hara corrisponde anche al nostro ‘baricentro’, cioè a quel punto in cui si concentra tutta la massa del nostro corpo) che in tutte le situazioni della vita nelle quali possiamo trovarci, e nelle quali è importante essere ‘centrati’ perchè possano venire affrontate nel modo più appropriato. Questa condizione, spiega ancora Von Durckheim, “…solo in parte è una disposizione congenita; essa è soprattutto il risultato di una esercitazione e di una disciplina continue, quindi il frutto di uno sviluppo personale di cui ognuno di noi ha la responsabilità.” Quindi suggerisce che anche ciascuno di noi, allenandosi ed esercitandosi, ha la possibilità di fare proprio questo modo di essere.

Mario Vatrini, nel suo libro “Strategie di Shiatsu”, dedica un breve capitolo all’argomento che stiamo affrontando. Il titolo è ‘Haragei – l’arte dell’addome’. Egli scrive: “Haragei equivale al saper risolvere un problema secondo un approccio irrazionale….. Per i Giapponesi l’addome è la sede dell’istinto, essi sono individui ipersensibilizzati a giudicare i pensieri e gli stati d’animo altrui non tanto per i contenuti verbali ma per le sensazioni che a loro volta ne ricavano. Ne consegue che le loro relazioni interpersonali sono fondamentalmente intuitive e viscerali, piuttosto che logiche o razionali.….Allo Shiatsuka (che vuole rifarsi all’uso di Hara) viene chiesto di escludere quegli schemi di pensiero e di comportamento a cui abitualmente si riferisce, per contare su qualcosa che usa di rado: la totalità delle sue percezioni.”

L’invito è quindi quello di abbandonare gli aspetti più logici e razionali del nostro comportamento al fine di stabilire una condizione che vada oltre questi soli aspetti, e che Vatrini definisce la totalità delle nostre percezioni. Il rapporto che viene ad essere stabilito (mantenendo uno stato di coscienza vigile nella ‘totalità delle nostre percezioni’) si colloca in quella particolare condizione che i giapponesi chiamano Mushin (in cinese Wu Xin). In questo caso il significato più letterale di queste espressioni è ‘assenza di mente razionale’. Cioè una condizione dove tutto ‘avviene’ (dove tutto è percepito, elaborato e vissuto) in una dimensione che non si ferma al solo aspetto della razionalità. Corrisponde a ciò che viene definito ‘il pensare e l’agire con la pancia’ che sembra essere, per quel che finora si è detto, una caratteristica particolare del popolo giapponese ma che in realtà non è del tutto assente, almeno come concetto, anche dalle nostre parti. Al punto che anche da noi, nel nostro linguaggio, il termine ‘viscerale’ sta ad indicare esattamente questo stesso modo ‘totale’ e profondo di partecipare e vivere le cose. Una madre, ad esempio, in qualsiasi parte del mondo, vive il proprio figlio in modo viscerale. Per dire di un modo ampio e totale che va oltre la sola razionalità e che comprende corpo, mente e cuore. Questa è una condizione che possiamo riconoscere non solo ad una madre nei confronti del proprio figlio ma che possiamo trovare anche tra due amici, o tra due persone che si amano. E’ quindi una condizione che può esistere tra tutte le persone, purchè il rapporto sia profondo, purchè sia cercato, voluto e mantenuto in profondità.

Riprendendo le parole di Vatrini, possiamo pertanto affermare che Hara non è solo, per l’individuo, ‘un centro’ che lo sostiene, ma è anche un ‘centro di elaborazione’ che gli permette una comprensione più ampia ed ‘istintiva’ di tutta la realtà che lo circonda. In molte opere della cultura giapponese (romanzi, film ecc.) questa visione di Hara viene spesso riproposta ed evidenziata. Non si pensi però che questa condizione sia una caratteristica esclusiva di quel popolo. Se è certamente difficile, per l’uomo di oggi, vivere questa dimensione, è vero però che questa è la condizione che in qualsiasi parte del mondo ha sempre vissuto il guerriero, o il cacciatore che si muoveva nella foresta e che sapeva bene di doversi muovere nella totalità delle proprie percezioni, correndo il rischio, diversamente, di passare da cacciatore a preda e di perdere la propria vita.
Tornando allo Shiatsu, l’uso di Hara non è solo quel qualcosa che favorisce una qualità diversa nella pressione. Permette altre cose ancora. Ad esempio, muovendoci nella totalità delle nostre percezioni, possiamo sentire l’energia che scorre in un canale, la collocazione esatta di un punto, cogliere una condizione energetica (vuoto/pieno ecc.) ed altro ancora.

II

Mario Vatrini, nel suo libro, afferma che esiste qualche divergenza sull’esatta posizione di Hara. Ne suggerisce poi la collocazione in una zona (interna) compresa tra due e quattro dita sotto l’ombelico. Per chi ha qualche familiarità con gli agopunti della Medicina Tradizionale Cinese diremo che corrisponde alla zona compresa tra due punti dislocati sul Meridiano energetico di Vaso Concezione. Essi sono Qi Hai (VC 6: Mare del Qi – Kikai in giapponese) e Guan Yuan (VC 4: Barriera, o passaggio, o cancello, della sorgente originaria – Kangen in giapponese. Punto Mu di Intestino Tenue). La zona è quella. Forse ‘Guan Yuan’ (il 4 di VC, a quattro dita dall’ombelico) è la collocazione più esatta. Vedremo infatti che anche nella lettura degli ideogrammi di Hara e di Guan Yuan (o Kangen) sono presenti le maggiori affinità.

Prima di passare ad analizzare le caratteristiche energetiche di questi punti è interessante prendere in esame proprio gli ideogrammi che li rappresentano. Come sempre, quando si vanno a leggere ed interpretare in tutte le loro sfumature, permettono di comprendere molte cose. Non essendo un esperto ho chiesto la collaborazione di Padre Luciano Mazzocchi, che è stato missionario in Giappone per circa 20 anni ed ha avuto modo di studiarne la lingua, specializzandosi anche nello studio degli ideogrammi cinesi (che sono la base della scrittura giapponese, pur se con qualche differenza nel modo di essere pronunciati). Padre Mazzocchi mi ha fatto pervenire due ideogrammi che esprimono entrambi Hara, pur se con qualche differenza tra di loro. Cominciamo con l’esaminare il primo:

Hara = ventre
http://www.altrogiornale.org/wp-content/up...Hara-ventre.jpg

Questo ideogramma, che si legge Hara (ma anche ‘Fuku’ in una pronuncia più simile a quella cinese) ha il significato di ‘ventre’ (addome, pancia). E’ composto di più segni ideografici: a sinistra un radicale che significa ‘carne’, o anche ‘un corpo fatto di carne’ (per indicare che si tratta di un concetto che è poi ‘concretizzato’ in un corpo umano). L’ideogramma di destra è composto di due segni: quello superiore indica un sole che sorge, quello inferiore una mano che si apre. Questi due segni (nel loro essere insieme) stanno ad indicare il rinnovarsi della vita.

Quindi, in questo primo ideogramma, Hara è Ventre inteso come quella zona del corpo dove l’energia della vita si rigenera e si rinnova. E’ da intendere proprio come quella parte del nostro corpo (la zona addominale) che è sede di tutti quei processi indispensabili al mantenimento della nostra esistenza. Il sole che sorge sta ad indicare il ripetersi ed il rinnovarsi ogni giorno del ciclo vitale, mentre la mano che si apre può forse avere il significato dell’accogliere questo continuo rigenerarsi. Il tutto come un fatto molto concreto in un corpo umano.

Analizziamo ora invece l’altro ideogramma la cui lettura è sempre Hara ma scritto con segni diversi:

Hara = radura – distesa incolta
http://www.altrogiornale.org/wp-content/up...esa-incolta.jpg

Questo ideogramma si legge sempre Hara ma assume significati diversi. In questo caso troviamo espressa una ‘radura’, una distesa incolta e un po’ selvatica. “Un luogo selvatico che accoglie e protegge tante forme di vita animale e vegetale” suggerisce Padre Mazzocchi. Aggiunge inoltre che sta anche ad indicare “…quelle radure dove cominciano a formarsi quei ruscelli che poi vanno ad irrorare i campi”. Credo possano essere intesi i cosiddetti ‘fontanili’ (come vengono chiamati dai nostri contadini), quelle sorgenti d’acqua di pianura importantissime per l’irrigazione dei campi, chiamate anche ‘risorgive’.

In questo secondo ideogramma, pertanto, con l’idea delle ‘risorgive’, troviamo il concetto di ‘Sorgente’. Infatti l’altra lettura (in cinese ‘nipponizzato’) di questo ideogramma è ‘Gen’ (corrispondente al cinese ‘Yuan’) il cui significato è proprio ‘Sorgente’ (o anche ‘Fonte Originaria’, ‘Origine’ecc.). Troviamo poi questo ideogramma contenuto nel nome cinese di VC 4 (Guan Yuan: ‘Barriera dell’energia originaria’ o ‘Cancello della sorgente originaria’ ecc.) dove si accompagna all’ideogramma ‘Guan’ (Kan in giapponese – Kangen è sempre VC 4) che indica appunto una barriera, un cancello o un passaggio obbligato.

Il tutto ci riporta quindi, anche concettualmente, a questo punto che è situato circa quattro dita sotto l’ombelico e che forse possiamo considerare proprio come il centro di quella zona del nostro corpo legata ad Hara. Proviamo ora ad individuare le caratteristiche energetiche di questo punto e di altri punti presenti nella stessa zona analizzando quanto ne dicono i testi della Medicina Tradizionale Cinese. Nei testi che ho avuto modo di consultare Guan Yuan viene dato come importante punto di riunione dei tre Canali Yin del basso (Milza, Fegato e Rene). Ha quindi un grande rapporto con lo Yin, cosa che gli torna anche abbastanza naturale essendo Vaso Concezione il ‘Mare dello Yin’ ed avendo questo Canale Straordinario la caratteristica del ‘prendersi carico’ della vita.

Il campo d’azione di questo punto è molto ampio e importante. Secondo Giovanni Maciocia – Fondamenti di M.T.C. – Ed. Ambrosiana: “…nutre lo Yin ed il Sangue, tonifica (e giova in generale) la Yuan Qi (energia originaria), tonifica i Reni, rafforza lo Yang, regola l’Utero, calma lo Shen e radica lo Hun.” Questa influenza ‘sedativa’ sugli aspetti spirituali di Cuore e Fegato è naturalmente dovuta anche alla sua forte azione sullo Yin, in una logica di equilibrio Yin/Yang. Risponde quindi, come azione generale, a tutto quanto ci potevamo aspettare, dato il suo rapporto con questa realtà molto profonda legata alle energie ‘originarie’. Secondo un testo americano – Grasping the Wind – questo punto è “…la via di passaggio del Qi originario, l’incontro dello Yin e dello Yang originari, ed il posto dove il Qi originario è immagazzinato e conservato…. E il suo nome corrisponde al tentativo di esprimere tutte queste idee.” Sempre lo stesso testo propone anche un elenco di ‘nomi alternativi’ che sono a volte usati per definire VC 4. Tra i molti, che vanno da ‘Cancello della vita’ a ‘Porta del bambino’ (per sottolinearne le funzioni ed i molteplici rapporti, ad es. con l’Utero), una denominazione importante è ‘Dan Dien’ o ‘Campo del Cinabro’. (Il punto infatti corrisponde anche al Dan Dien Inferiore).

Anche nella tradizione dello Yoga la zona è importante. Per qualche autore corrisponde alla zona del 3° Chakra (cfr. Jean-Michel Varenne ‘Lo Yoga’ – SugarCo Ed., che posiziona questo Chakra due dita sotto l’ombelico). Il nome del 3° Chakra è ‘Manipura Chakra’, che tradotto significa ‘La Città dei Gioielli’. Manipura è ritenuto un centro importante per il risveglio della Shakti (Energia). Il nome ‘Città dei Gioielli’ sta ad indicare l’importanza di questo Centro, dal quale si dice abbia inizio il cammino evolutivo dell’uomo verso i ‘piani alti’ della coscienza. (Nei primi due Centri sottostanti Manipura sono invece predominanti le caratteristiche più istintivamente ‘vitali’: sessualità ecc.).

E’ interessante notare come l‘area di questo punto, (che in MTC viene anche chiamato “Cancello del Fuoco della Vita”) nella tradizione indiana è considerata legata all’Elemento Fuoco, elemento molto importante per il risveglio e la realizzazione personale. Nella mitologia yogica, inoltre, Manipura è considerato come il ‘livello celestiale dell’esistenza’. Tornando invece agli agopunti della MTC, sempre nella zona possiamo segnalare un altro punto che ha caratteristiche piuttosto simili a VC 4. Si tratta di Rene 13 (Qi Xue: ‘Foro – o Caverna – del Qi’) localizzato lateralmente a mezza distanza da VC 4. Maciocia lo indica come punto che “…può essere usato per tonificare in modo profondo i Reni ed il Jing del Rene (come Guan Yuan – VC 4) grazie anche al fatto di essere un punto del Chong Mai, che fa circolare il Jing del Rene.” ‘Grasping the Wind’ ne parla come un punto di manifestazione del Qi renale e dice che nella tradizione anche qui vengono assegnati nomi diversi allo stesso punto: ‘Porta del Bambino’ al punto di destra e ‘Cancello dell’Utero’ a quello di sinistra. Sono questi dei nomi che avevamo già trovati in Guan Yuan, quindi possiamo ancora rilevare una certa ‘parentela’ tra questi punti che risiedono in questa zona legata all’Hara.

Un altro punto importante che si riferisce sempre a quest’area è VC 6 (Qi Hai: ‘Mare del Qi’) che troviamo posizionato circa due dita sotto l’ombelico.
Maciocia lo definisce “…uno dei maggiori punti del corpo, con un forte effetto sul Qi e lo Yang. Può essere usato per un forte esaurimento fisico e mentale e contro la depressione. Tonifica inoltre la Yuan Qi e lo Yang del Rene.” E’ un punto che reagisce molto bene alla tecnica di moxibustione ed è ottimo per quei pazienti che hanno la sensazione che ogni cosa nella vita sia una fatica. Quindi possiamo definire anche questo un forte punto di ‘rigenerazione’. Il nostro testo americano lo dà come zona di grande riserva del Qi di tutto il corpo ed afferma che “…nelle pratiche Taoiste di meditazione il respiro viene portato in questa zona ed il Qi viene qui immagazzinato.” Tra VC 4 e VC 6 abbiamo poi il punto Mu di Triplice Riscaldatore (VC 5 Shi Men: Porta di Pietra) che, anche per via del suo legame col T.R. (che è ‘Via maestra’ della Yuan Qi) ha una forte influenza sulla questa energia originaria: “…stimola la circolazione della Yuan Qi negli organi e nei meridiani.” (Maciocia). Rileviamo inoltre come anche Shi Men abbia tra i suoi nomi alternativi ‘Campo del Cinabro’ e ‘Cancello della vita’.

Riassumendo quindi le caratteristiche energetiche generali di quest’area, ne rileviamo una forte relazione con le nostre energie originarie (sempre abbiamo trovato riferimenti alla Yuan Qi). E’ un’area fortemente collegata con i Reni (come sede del Jing originario) e di grande rapporto con lo Yin e lo Yang del nostro organismo. Inoltre, in tutti i punti che abbiamo potuto analizzare, abbiamo sempre trovato l’idea del rinnovamento e della rigenerazione che avevamo avuto modo di leggere anche negli ideogrammi. Credo però che questa zona non ci apra solo ad un contatto con le nostre “Grandi Energie”, cioè le nostre energie costituzionali profonde. Nella citazione di Von Durckheim dalla quale siamo partiti, circa la malattia e la guarigione, si parla di Hara come di una possibile apertura a forze ancora più nascoste, profonde e potenti. Molte sono le pagine che Von Durckheim dedica nel suo libro a questa ipotesi, da queste pagine possiamo partire per un’ultima riflessione sull’Hara.

III

Il nostro autore tedesco lascia intendere che la Via che porta allo sviluppo di questo nostro ‘Centro energetico’ ci apre a forze profonde e misteriose. Queste forze sembrano andare ben oltre le nostre potenzialità’ individuali, qui ed ora (intendendo con questa espressione le nostre caratteristiche energetiche costituzionali prese così come sono in un determinato momento della nostra vita). Egli afferma infatti che l’uomo che dispone di Hara non è rimesso solamente a sé stesso, in quanto “….questo ancorarsi nel Centro assicura all’uomo una forza che lo mette in grado di padroneggiare l’esistenza in modo diverso di quanto gli sarebbe possibile per mezzo del solo ‘Io’. E’ una forza che sostiene e che rinnova l’essere in maniera misteriosa, una forza che ordina e che dà forma, che risolve e rende interi, che unifica.” Affidandosi ad Hara, dice ancora, l’uomo “….mette le proprie capacità al servizio di una forza profonda che compirà per lui l’opera e l’azione quasi senza che egli intervenga. Ma l’attivazione di codesta forza ha per premessa l’ancoraggio dell’uomo all’Hara, nel Centro libero dall’Io.”

La Via che consente lo sviluppo di Hara permetterebbe quindi all’uomo di vivere questa forza nel suo duplice aspetto: come una forza speciale che può usare nella sua vita nel mondo e che, nel contempo, gli permette di entrare in contatto con le energie metafisiche della sua essenza più profonda. Questo contatto, secondo Von Durckheim, è il senso più profondo di Hara. E il percorso che un individuo compie in questa Via di ricerca e di allenamento per lo sviluppo di Hara ha il senso di un percorso in una ‘Via Interiore’ che consente “…l’unità con l’Essere e l’Essenza sovramondani”. Quindi il contatto profondo con Hara permetterebbe all’uomo di rapportarsi con una dimensione più ampia, aprendolo a quella che viene definita “la Grande Vita che sorregge e protegge”. In questa dimensione egli verrebbe ad acquisire un nuovo sentimento del vivere e il senso di una nuova forza e di una nuova ‘vicinanza’. “Non è – continua Von Durckheim – una forza che ‘si ha’ ma una forza nella quale ‘si è’ . In essa l’uomo percepisce la sua partecipazione ad un ‘Essere’ a cui, nel senso più profondo, appartiene e a cui è più legato che non al mondo. Sente anche che essa non costituisce solamente il fondo vero della sua vita ma altresì il principio più profondo dell’intero Universo.”

E’ interessante notare come in molte affermazioni di Von Durckheim ritornano quei concetti di ‘Sorgente’ e di ‘Origine’ che abbiamo continuamente avuto modo di leggere negli ideogrammi di Hara e negli agopunti che abbiamo analizzati, pur se nelle sue parole intendono assumere significati molto più ampi. Scrive infatti che “….E’ come se grazie all’Hara l’uomo percepisse ciò che esso è nel senso primordiale; come se egli scoprisse quella scaturigine profonda della propria natura….. Solo l’emergere di questa natura originaria e il contatto con l’Essere che essa stabilisce apre all’uomo la Via verso la sua vera autorealizzazione.” (Nella tradizione Yoga, d’altra parte, avevamo visto che l’aprirsi di Manipura Chakra permette l’inizio del cammino evolutivo dell’uomo verso i ‘piani alti’ della coscienza).

L’ultima parte del libro di Von Durckheim è poi dedicato all’importanza della ‘pratica’, e in queste righe leggiamo un’affermazione di grande importanza:

“…non si capisce come ai nostri tempi si pensi che si possa prescindere da una pratica quando si tratta di aprirsi una Via verso la trascendenza.”

Secondo le affermazioni di Von Durckheim, quella di Hara è quindi anche una grande forza trascendente, della quale non è certo facile dire cosa esattamente sia. Però, egli scrive, “…essa si manifesta quale forza cosmica in date varietà dell’esperienza vissuta e può venire assunta in una costituzione interiore grazie alla quale l’uomo per un lato la vive, dall’altro può dimostrarla nel mondo.” Riflettendo su queste pagine non si può fare a meno di pensare che, pur se con terminologie diverse, possiamo trovare “tracce di Hara” (o di qualcosa di molto simile) anche in altre Vie di trascendenza (o in altri cammini religiosi, per usare parole più semplici e più adeguate alla nostra cultura e alle nostre tradizioni).

Nel suo libro Bendowa (Il cammino religioso – ed. Marietti) scritto nel 1231, Dogen, il Maestro Zen fondatore della Scuola Soto, raccomanda di affidarsi completamente alla forza dell’Universo che tutto sostiene. Affidandosi, nella pratica dello zazen, a questa forza “…si dischiude tutta l’ampiezza e la profondità del mondo senza limiti.” La traduzione letterale di Bendowa significa ‘Sulla pratica della Via’, e contiene il cuore dell’insegnamento di Dogen. Nella pratica concreta di assumere con il proprio corpo la posizione seduta della meditazione zen (zazen) è possibile affidarsi a questa grande forza trascendente. Scrive Dogen:

“A chiunque sin dalla nascita è dato con pienezza il principio della condizione in cui la persona vive il ‘Sé originale’ genuinamente. Però, se non passa attraverso il fare praticamente proprio zazen, quel principio non appare manifestato e se non si evidenzia nello zazen in realtà non lo si ha….Solo la pratica effettiva dello zazen è direzione e forma fondamentale del vivere in modo autentico il Sé originale.”

Questo è quello che Dogen chiama “l’insegnamento misterioso e sottile trasmesso da tutti i Buddha e i Patriarchi”. In questo senso, e con questa visione delle cose, anche alcune affermazioni di Meister Eckhart, mistico cristiano vissuto intorno al 1200, escono da quella genericità in cui troppo spesso le consideriamo, per assumere una concretezza diversa. Per fare un esempio: scrive Eckhart “Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel suo fondo proprio, in ciò che esso ha di più intimo. In effetti nessuno può conoscere Dio, se prima non conosce se stesso.” (La Via del distacco – Mondadori). Forse, con queste parole, Eckhart vuole proprio indicarci che esiste una possibilità di sperimentare concretamente quel ‘contatto’ con qualcosa che possiamo pensare come l’origine stessa della nostra esistenza.

Per concludere, e tornando al pensiero dal quale eravamo partiti, Hara viene proposta anche come una grande forza di guarigione. Non ho mai potuto fare a meno di pensare alle parole del Maestro (e medico taoista) Jeffrey Yuen in una sua conferenza a Milano di qualche anno fa. Parlando di alcune diverse modalità di intervento terapeutico, Jeffrey Yuen riconosceva l’esistenza e la possibilità, tra queste, di una modalità del tutto particolare, che lui definiva di tipo ‘sciamanico’. Una modalità che è oltre l’abilità soggettiva del terapeuta e oltre la condizione oggettiva del paziente. L’uso di questo termine ‘sciamanico’ non può fare a meno di rimandarci ancora una volta alla capacità di sapersi affidare, da parte dell’uomo, a quelle forze profonde e misteriose alle quali, come dice Von Durckheim “…l’Hara certamente lo apre.”

Massimo Beggio

Fonte http://www.altrogiornale.org/hara-la-forza...massimo-beggio/

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view post Posted on 14/4/2017, 10:01

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RISONANZA MORFICA E BIOLOGIA QUANTISTICA

Gli organismi viventi sono sistemi biologici quantistici che si interfacciano con il tessuto basilare della realtà. Il loro DNA agisce come un’antenna frattale che può ricevere e trasdurre energia di punto zero, consentendo un’interazione più diretta con il Campo.

Che cos’è la vita? È un interrogativo che quasi tutti noi, universalmente, ci poniamo. Per gli scienziati, in particolare, è una domanda fondamentale, e in effetti fu anche il titolo del libro del 1944 di Erwin Schrödinger Was ist Leben? Schrödinger fu un fisico nonché uno dei padri della meccanica quantistica. Il suo libro costituisce probabilmente uno dei primi trattati mai pubblicati sulla fisica quantistica della biologia, ovvero la base della disciplina della biologia quantistica. Applicando ai processi biologici le teorie della meccanica quantistica e della causalità formativa si ricavano degli spunti per comprendere alcuni fenomeni particolari per cui non è possibile formulare descrizioni adeguate attraverso le metodologie scientifiche convenzionali.

Causalità formativa: il campo morfogenetico

La scienza della biologia, con gli attuali modelli teorici, è quasi giunta a un impasse, poiché si sta avvicinando a un livello descrittivo che necessita delle teorie della meccanica quantistica e delle teorie dei campi. Per potere esaminare i livelli più profondi della realtà, occorre una scienza con paradigmi nuovi. Una teoria di questo tipo, che descrive con eleganza molti fenomeni che finora si sono sottratti ad adeguate descrizioni scientifiche, è la teoria della risonanza morfica di Rupert Sheldrake: la teoria della causalità formativa. Essa descrive il processo della morfogenesi come determinato da un campo morfogenetico per mezzo di una forza non fisica. È la scienza della conformazione, ed è fondamentale per comprendere come avviene l’accesso alle informazioni del Campo (noto anche come il vuoto, l’etere, l’ordine implicato, il plenum cosmico, il superspazio, l’akasha, ecc.). Quanto è importante la scienza della conformazione? Erwin Schrödinger ce lo fa capire con una spiegazione felice:

“Ciò che osserviamo come corpi e forze materiali non sono altro che forme e variazioni della struttura dello spazio” (corsivi aggiunti).

Per molti questa affermazione va spiegata, dato che lo spazio, secondo la descrizione classica, è definito come qualcosa di vuoto. Tuttavia, per molti scienziati, lo spazio (e persino il vuoto) non sono assolutamente “vuoti”. Persino alla temperatura dello zero assoluto, quando non dovrebbe più esserci alcuna forma di energia, ciascun punto nello spazio (ove il più piccolo quanto dello spazio è un volume basato sulla lunghezza di Planck) contiene un oscillatore armonico quantistico che vibra con l’energia di punto zero dello stato fondamentale per il Campo. Il fisico Nassim Haramein ha descritto in che modo un volume di vuoto delle dimensioni di un protone contenga una densità energetica equivalente a tutta la massa dell’Universo. Ciò esemplifica come l’Universo sia olofrattale, nel senso che una particella subatomica contiene potenzialmente la traccia dell’intero Universo, e come nell’Universo esistano più strati dimensionali in cui viene distribuita tale densità energetica infinita.
Tornando a quanto esposto da Rupert Sheldrake, la teoria della risonanza morfica si avvicina così tanto alla modellizzazione dei processi effettivi che danno luogo alla formazione di tutti i livelli di organizzazione da diventare autoevidente, una volta compresa correttamente. In merito ai sistemi biologici, essa spiega le cause formative dell’evoluzione, dello sviluppo embrionale, dei pensieri, dei comportamenti e persino di vari fenomeni metafisici. Personalmente, trovo davvero illuminante la capacità di questa teoria di spiegare il funzionamento dei pensieri.

Comunicazione quantistica biomolecolare

Le immagini dell’attività cerebrale ottenute con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG) rivelano modelli spaziotemporali quadridimensionali dell’attività elettrica prodotta dai potenziali d’azione di miliardi di neuroni. La propagazione elettrica lungo gli svariati percorsi di queste reti produce dei pattern di attività specifici per cui è stata trovata una chiara correlazione con stati fisici e senzienti. Uno degli interrogativi più sfuggenti della neurobiologia è in che modo questa attività elettrica possa produrre ciò che noi percepiamo come pensieri, comportamenti e ricordi. Questa domanda mette a dura prova i neurobiologi, in quanto desta una totale perplessità da un punto di vista puramente fisico, ovvero il punto di vista al quale gli scienziati tendenzialmente si limitano nella propria indagine della Natura.

In effetti, la condizione senziente non verrà mai spiegata dalla delineazione fisica dell’attività cerebrale, perché si tratta di un fenomeno non fisico: il cervello agisce soltanto da interfaccia tramite la quale gli aspetti puramente energetici della condizione senziente vengono trasdotti nell’esperienza fisica. Ciò significa che il cervello non ha mai prodotto pensieri, e non lo farà mai, perché non è questo che fa il cervello. I pensieri esistono come idee all’interno del campo morfogenetico – e uno specifico programma di pensieri è un comportamento all’interno del campo morfogenetico – dunque i comportamenti sono strutture morfiche di pensiero a un livello di nidificazione superiore. Ricordate che il campo morfogenetico non è che una categorizzazione del campo dell’informazione, che fa parte del campo unificato. Dunque quello che accede al campo delle informazioni non fisiche è un componente non fisico della mente: lo si può definire la mente superiore.

L’impulso di tutte le idee si verifica all’interno della mente superiore, e attraverso di esso le idee vengono trasdotte nel cervello suscitando i potenziali d’azione che producono specifici pattern quadridimensionali di attività elettrica. Questi pattern spaziotemporali, attraverso la risonanza morfica, si sintonizzano con un programma di idee all’interno del campo morfogenetico e consentono alla mente fisica di percepire le idee come pensieri. Analogamente, anche i ricordi sono prodotti dallo stesso tipo di pattern quadridimensionali di attività elettrica. I pattern specifici dell’attività neurale si sintonizzano su distinti campi morfici contenenti informazioni che producono le immagini corrispondenti a un evento passato. Ciò significa che i ricordi in realtà non sono registrati da nessuna parte, come tendenzialmente pensiamo. Piuttosto, ogni volta vengono creati da zero nel momento presente. È possibile osservare la genesi dei nuovi percorsi neurali per la conduzione dei pattern elettrici in grado di sintonizzarsi su diverse aree del campo di informazione mentre avviene rapidamente attraverso la formazione di strutture fisiche subsinaptiche chiamate spine dendritiche.

Le spine possono prodursi e ritrarsi rapidamente, così il cervello ha un alto grado di plasticità e ha la possibilità di rimodellarsi e riprogrammarsi molto più in fretta rispetto al tempo che ci vorrebbe se si producessero sinapsi interamente nuove e, in alcuni casi, neuroni interamente nuovi. In realtà, quando abbiamo la sensazione di aver capito o imparato un nuovo concetto è perché sono state generate spine dendritiche che originano nuovi contatti sinaptici, consentendo la creazione di diversi pattern di attività elettrica che si possono sintonizzare con diverse risonanze morfiche. Tuttavia, la stessa percezione non avviene all’interno del cervello fisico; la percezione è semplicemente facilitata dal cervello, poiché è la coscienza che percepisce, e la coscienza non avviene dentro il cervello, ma è solo limitata dal cervello.
Questo è probabilmente uno dei misteri più inafferrabili della scienza: come si produce la coscienza? Ancora una volta, è una domanda a cui non si potrà mai rispondere usando la scienza dei vecchi paradigmi, perché
la coscienza non è prodotta da fenomeni fisici: è primaria e fondamentale per tutta l’esistenza. È un prerequisito dell’esistenza stessa, dal momento che, senza consapevolezza cosciente, come si potrebbe dire che qualcosa esiste? Che cosa lo differenzierebbe dalla non-esistenza se fosse completamente non percepito? Cercare di immaginare qualcosa di esistente ma non percepito è simile a cercare di immaginare la non-esistenza. Non si può fare.
Ci sono stati pochissimi tentativi di spiegare scientificamente i presunti processi fisici attraverso cui viene prodotta la coscienza (ricordando che, per il paradigma del consenso, tutti i fenomeni devono essere spiegati attraverso processi fisici). La comunità scientifica si è per lo più accontentata di presumere che la coscienza sia un aspetto che emerge da reti neurali di altissima complessità, in particolare quelle che comprendono la neocorteccia del cervello umano. In effetti ne sono scaturiti filoni di ricerca produttivi, in quanto alcuni scienziati, per spiegare la comparsa della coscienza, sono stati spronati a pensare al di là delle consuete restrizioni autoimposte e a prendere in considerazione le teorie dei processi meccanici quantistici all’interno del contesto biologico.

Roger Penrose, in collaborazione con Stuart Hameroff, ha sviluppato una teoria secondo cui gli elettroni pi delocalizzati all’interno dei microtubuli sono sufficientemente protetti dalle fluttuazioni ambientali da poter mantenere una sovrapposizione quantistica della propria funzione d’onda. I microtubuli sono filamenti interni alle cellule che formano una matrice di sostegno nota come citoscheletro e sono coinvolti nella trasduzione di segnali e sostanze chimiche in tutta la cellula.

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Sopra: rappresentazione schematica di una rete di microtubuli intracellulari in un neurone.

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Sopra: schemi di microtubuli che rappresentano l’architettura strutturale della molecola. All’interno del tubo cavo, gli elettroni pi delocalizzati potrebbero essere sufficientemente protetti da formare stati quantisticamente coerenti.

Penrose e Hameroff hanno teorizzato che il collasso della funzione d’onda quantistica degli elettroni pi potrebbe produrre un’elaborazione subneuronale delle informazioni ed essere la sorgente della coscienza nel cervello.
Come funzione d’onda, gli elettroni possono formare uno stato quantistico coerente noto come condensato di Bose-Einstein. In questo stato, tutti gli elettroni si comportano essenzialmente come una singola particella o, più precisamente, come una singola funzione d’onda correlata, con un entanglement “non locale” che consente il trasferimento quasi istantaneo delle informazioni. Durante le modalità normali dell’attività cerebrale, come l’attività elettrica che produce oscillazioni beta, questi stati sono estremamente fugaci. Tuttavia, quando una persona è sufficientemente isolata dalle perturbazioni ambientali, ad esempio se è in uno stato meditativo in cui gli stimoli visuali, uditivi e cognitivi sono ridotti al minimo, l’attività elettrica del cervello può entrare in un pattern di onde cerebrali noto come oscillazioni gamma. L’oscillazione gamma è caratterizzata da potenziali d’azione spaziotemporali sincronizzati che attraversano avanti e indietro l’intero cervello 40 volte al secondo. In questo stato, si riesce a mantenere il condensato di Bose-Einstein, che può creare un entanglement coerente con gli elettroni pi all’interno dei microtubuli contenuti praticamente in ogni cellula del corpo. Il corpo diventa un “tutto” quantisticamente coerente, e l’individuo prova una sensazione di unità. Questo stato biologico macroscopico quantisticamente coerente consente all’individuo anche di creare una specifica sintonia con l’iperspazio e accedere a informazioni direttamente dal Campo.
Inoltre, i microtubuli e molti altri biopolimeri come il DNA possono formare onde solitoniche in grado di produrre vari fenomeni di tipo particellare come i fononi e i condensati di Bose-Einstein. Ancora una volta, si tratta di una forma di comunicazione non classica e di funzionalità quantistica all’interno del sistema biologico.
Normalmente una forma d’onda, quando viene esaminata da un fisico, collassa, ed è possibile determinare la posizione definita o la quantità di moto dei quanti. Si parla di riduzione soggettiva, detta soggettiva perché richiede la coscienza dell’osservatore. La sfida di Penrose e Hameroff era tentare di descrivere la genesi della coscienza attraverso il collasso della funzione d’onda, e non il collasso della funzione d’onda attraverso l’osservazione cosciente. Per questo arrivarono al concetto di riduzione oggettiva, in cui la funzione d’onda collassa dopo aver superato una soglia nella curvatura spazio-temporale. Si tratterebbe di un effetto della gravità quantistica. È un concetto davvero incredibile in quanto unisce meccanica quantistica, relatività speciale e biologia molecolare nella spiegazione di un dato fenomeno.

Anche se la teoria è molto interessante, potrebbe non essere necessaria per spiegare la genesi della coscienza, se la coscienza è fondamentale e primaria per tutti i fenomeni. Così, fintanto che il collasso della funzione d’onda quantistica all’interno dei microtubuli non spiega la genesi della coscienza, esso si può tuttavia applicare per spiegare molti altri fenomeni biologici. Per esempio, è attraverso il livello quantistico che ogni pensiero, sentimento ed esperienza viene trasmesso al livello di coscienza che è la nostra frazione individualizzata. Questa informazione viene trasmessa attraverso la funzione dell’onda quantistica che si sovrappone fra due livelli discreti della realtà – spaziotempo e iperspazio – consentendo lo scambio di informazioni fra i due livelli. Lo stesso tipo di elettroni delocalizzati che si trova all’interno dei microtubuli e che forma la sovrapposizione quantistica si trova anche all’interno della molecola del DNA, ed esiste un legame continuo che, attraverso i microtubuli e arrivando al DNA nucleare, percorre l’intero organismo di cellula in cellula.

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Sopra: Dimensioni del genoma di vari organismi in base al numero di coppie di basi (bp) dei nucleotidi.
In ordine discendente: Micoplasma, Batteri gram-positivi, Batteri gram-negativi, Funghi/Muffe, Alghe, Vermi, Crostacei, Echinodermi, Insetti, Molluschi, Uccelli, Pesci ossei, Pesci cartilaginei, Rettili, Mammiferi, Anfibi, Piante da fiore.


Il filamento di DNA fotocodificato

L’instabilità della densità elettronica del dipolo elettrico produce oscillazioni armoniche degli elettroni pi al centro dei microtubuli o del DNA. Ecco l’origine del filamento elettromagnetico che attraversa il centro di questi polimeri, poiché le cariche oscillanti producono campi magnetici, e i campi magnetici oscillanti producono campi elettrici che a loro volta producono onde elettromagnetiche o, per usare la terminologia comune, la luce. È un filamento fotocodificato, ed è il filamento del DNA che trasporta le informazioni! La presenza di questi fili di luce, il “corpo sottile” dell’organismo biologico, è stata rivelata da numerosi esperimenti scientifici.

L’esemplificazione empirica del corpo sottile risale agli esperimenti svolti negli anni Venti dallo scienziato russo Alexander Gurwitsch, che sorprendentemente collegò le emissioni elettromagnetiche ultradeboli degli organismi ai processi evolutivi del campo morfogenetico! Chiamò queste emissioni raggi mitogenici. Tuttavia, senza una vera e propria indagine empirica dell’argomento, la comunità scientifica rifiutò la nozione, perché era considerata al di fuori dei confini del paradigma materialistico. Solo in tempi relativamente recenti sono stati eseguiti degli esperimenti per approfondire l’argomento, e in effetti essi hanno confermato la comunicazione intracellulare e intercellulare tramite emissioni elettromagnetiche.

Trasformazione elettromagnetica del DNA

Uno degli esperimenti finora più definitivi che dimostrano il ruolo primario del filamento di DNA fotocodificato è quello di Luc Montagnier, che nel 2008 ha vinto il Premio Nobel per la Fisiologia/Medicina per aver dimostrato che l’HIV è l’agente eziologico dell’AIDS. In questo esperimento, si dimostra come uno specifico segnale elettromagnetico emesso da una coltura di batteri patogeni permanga anche dopo che tutto il materiale biologico è stato rimosso dal mezzo di coltura. Quando un ceppo non patogeno delle stesse specie batteriche è stato posto nel mezzo di coltura dov’era ancora presente il precedente segnale elettromagnetico, esso si è trasformato nel ceppo patogeno e ha iniziato ad emettere lo stesso segnale caratteristico del ceppo precedente. Essenzialmente, la frequenza elettromagnetica aveva trasformato il ceppo, il che significa che stava agendo specificamente sulla molecola di DNA del ceppo non patogeno, “ricodificandolo”.
Tutte le biomolecole formano complessi con l’acqua, che occupa un ruolo essenziale nella funzionalità di tutte le molecole viventi. È per questo che l’acqua è così essenziale per la vita: non si tratta semplicemente di un mezzo inerte in cui avvengono reazioni biochimiche. Dunque, Montagnier ha ipotizzato che le frequenze elettromagnetiche fossero trattenute in nanostrutture acquee: disposizioni conformazionali complesse di acqua macromolecolare. L’acqua non soltanto adotta un pattern unico per la conformazione delle biomolecole (e influenza direttamente l’esatta forma tridimensionale durante la formazione delle biomolecole), ma è anche responsabile di gran parte dell’attività elettrica delle biomolecole per via dell’interazione del suo momento di dipolo.

Risonanza morfica e conformazioni del DNA

Se si confrontano fra le varie specie i segmenti del DNA che codificano le proteine, cioè i geni, si nota un alto livello di conservazione, ovvero tutta la vita condivide gli stessi “utensili molecolari” in quanto i geni sono omologhi, fatta eccezione per alcune differenze osservate di importanza secondaria. Gli stessi geni che compongono gli ingranaggi molecolari e strutturali di una mosca si trovano anche nel genere umano. Tuttavia, questi geni sono coinvolti principalmente nella produzione degli ingranaggi molecolari, e il loro alto grado di omologazione e conservazione dimostra che non sono la causa delle differenze fra specie e individui. Invece le sezioni di DNA responsabili della produzione di queste differenze erano note già da molto tempo come ciò che si usava per identificare le specie e gli individui! I polimorfismi da lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP) si producono in sezioni di DNA uniche (i segmenti polimorfici) quando il polimero viene spezzato (digestione di restrizione per mezzo di enzimi endonucleasi) e creano quella che viene denominata “impronta genetica”. È quella che si usa per identificare esattamente specie, sottospecie, cladi, eccetera, fino agli individui. Questo sarebbe dovuto essere un grosso indizio: se si sta cercando ciò che rende diversa una specie dalle altre, le sezioni di DNA usate per identificare una particolare specie o individuo sarebbero un buon posto da dove cominciare!

Queste sezioni uniche di DNA sono i segmenti non codificanti. Chiamare queste sezioni di genoma “DNA spazzatura” è come chiamare il motore di un’auto “ruota di scorta”. Quanto sono importanti le sezioni non codificanti del DNA? La loro prevalenza nel genoma dovrebbe darne un’indicazione. Nella specie umana, il 95-98% del genoma è non codificante! Il dato è analogo anche per alcune altre specie, eppure esiste una correlazione fra la maggiore complessità degli organismi e la quantità di DNA non codificante. Per esempio, i batteri come l’Escherichia coli presentano una quantità estremamente esigua di DNA intergenico. I loro genomi sono architettonicamente banali, con semplici filamenti circolari che difficilmente possono adottare configurazioni complesse, eppure contengono approssimativamente 4.290 geni. È un quinto della quantità della specie umana, che presenta circa 21.000 geni, eppure questi E. coli sono batteri microscopici! In realtà, il Caenorhabditis elegans, un minuscolo verme, contiene più geni rispetto all’uomo. Tuttavia, in questo contesto, ciò che gli uomini hanno in maggiore quantità è il DNA che non codifica proteine, come si può vedere dalla correlazione fra dimensioni del genoma e DNA non codificante (in molti casi, nelle piante un genoma di grandi dimensioni è dovuto alla poliploidia, la presenza di più serie degli stessi cromosomi sufficienti a produrre la speciazione senza neppure un cambiamento in un gene codificante). Finora sono state identificate tre funzioni principali dei segmenti non codificanti…

Circa la metà delle regioni genomiche non codificanti è composta da elementi trasponibili che modulano l’espressione dei geni e sono in grado di riarrangiare i cromosomi.
L’altra metà consiste in un numero variabile di sequenze che si ripetono in tandem, denominate tecnicamente DNA satellite. Attraverso disposizioni conformazionali specifiche, esse si interfacciano con il campo morfico.
Entrambe queste parti del DNA intergenico sono soggette a espansione all’interno del genoma. Questa espansione serve ad aumentare la capacità di trasporto di informazioni della biomolecola.


Riarrangiamento dei cromosomi

Gli elementi trasponibili sono una parte altamente funzionale del DNA non codificante. Consentono al DNA di rispondere alle condizioni ambientali e rimodellare il genoma attraverso la traslocazione di segmenti del genoma e il riarrangiamento dei cromosomi. Dato che le regioni genetiche sono modulari, possono essere traslocate e tuttavia mantenere la completa funzionalità; verranno però espresse in modo diverso. Ciò può produrre una speciazione accentuata e rapida, una forma di evoluzione praticamente istantanea, nel senso che può avvenire nel corso della vita di un singolo organismo. Questi segmenti di DNA sono attivati da radiazioni ad alta frequenza, e per questo un incremento di fonti come i raggi cosmici causerà un aumento della quantità di elementi di DNA attivamente trasponibili.
Confrontando il genoma di specie classificate nella famiglia degli ominidi, come l’uomo e lo scimpanzé, le regioni genetiche in cui avviene la codifica delle proteine sono quasi identiche, quindi la differenza fra le specie sembra dovuta al DNA non codificante. In particolare, i retrotrasposoni, chiamati sequenze Alu, danno segno di giocare un ruolo particolare all’interno del genoma umano, in quanto sono gli elementi più abbondanti, rilevati a un numero di copie di oltre un milione di loci.
Dunque, l’architettura modulare del DNA rende logico il funzionamento degli elementi trasponibili per riarrangiare i cromosomi. Tuttavia, che funzione potrebbe avere il DNA satellite, dato che è fatto di semplici sequenze ripetitive che possono reiterarsi centinaia di volte? È stato illuminante considerare una caratteristica particolare delle sequenze che si ripetono alla luce della teoria della risonanza morfica. Le sequenze che si ripetono hanno la capacità di formare speciali conformazioni di DNA, fra cui le strutture di DNA terziarie e quaternarie oltre che vari altri elementi strutturali specifici. Per esempio, le regioni telomeriche sono composte da un numero variabile di ripetizioni di coppie di basi della sequenza TTAGGG compreso fra 3.000 e 20.000. Questa regione ricca di guanina forma un G-quadruplex che può originare quattro complessi di DNA a quattro filamenti.
Le varie conformazioni formate dal DNA satellite hanno quindi risonanze specifiche con il campo morfico, e dunque sono in grado di sintonizzarsi con programmi di informazioni molto specifici. Dato che il DNA satellite è altamente specifico per ciascun individuo, significa che ciascun individuo si sintonizza con un pattern morfogenetico esclusivo. Oltretutto, data l’elevata plasticità del polimero – in grado di mutare rapidamente lungo la sequenza ciclica di conformazioni della molecola di DNA – esso può servire per modulare il comportamento della cellula, tessuto e organismo con il mutare delle risonanze dei pattern morfici. In più, la caratteristica del DNA satellite di espandere il numero di sequenze che si ripetono aumenta la capacità di trasporto di informazioni della molecola di DNA.

Trasduzione di frequenza

Procedendo con la scienza del nuovo paradigma, consideriamo la funzione dell’organismo biologico come di natura primariamente elettrica e tendente alla coerenza quantistica. La si può considerare la teoria biologica “dell’Universo Elettrico”. Data l’importanza fondamentale del comportamento elettrico e magnetico nel sistema biologico, non sorprende che il DNA e molte altre molecole agiscano come delle antenne. Il DNA in particolare ne è un esempio fondamentale, come si può vedere dalla sua struttura molecolare la cui caratteristica è una forma unica nota come antenna a elica. La struttura lunga, lineare e polimerica si adatta perfettamente alla ricezione e trasmissione di impulsi elettrici, mentre l’anello formato dalla sezione trasversale della doppia elica che si avvolge è perfetto per ricevere impulsi magnetici.

In quanto antenna fondamentale per le radiazioni elettromagnetiche, il DNA può ricevere la luce, trasdurla, elaborare una risposta e riemettere segnali elettromagnetici che avranno un effetto di modulazione molto definito su molecole specifiche o anche target extracellulari. Tuttavia, il DNA mostra anche un’organizzazione strutturale caratteristica delle antenne frattali, che consente alla molecola di ricevere e trasdurre energia di punto zero e di interagire più direttamente con il Campo. Queste forme di energia più impalpabili interagirebbero più direttamente con la coscienza, e in questo modo potrebbero influenzare tanto l’espansione quanto la contrazione della consapevolezza cosciente. Ciò significa che certe disposizioni modulari del DNA sarebbero più tendenti alla consapevolezza cosciente. Per contro, molte ridisposizioni di questi moduli di cromatina potrebbero rimodellare il genoma rendendolo meno efficiente come trasduttore di energia di punto zero e quindi meno tendente alla consapevolezza cosciente.
Quando viene ricevuta l’informazione contenuta nella luce, essa può essere immagazzinata, elaborata e trasmessa olograficamente dal DNA. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’uso del DNA per funzioni computazionali, e in effetti esso è stato utilizzato per risolvere problemi molto specifici che richiedono forme di elaborazione speciali, come il problema diretto del cammino hamiltoniano in ambito matematico (Lila Kari). Insomma, non è per niente innovativo indicare che il DNA ha funzioni di elaborazione, come è stato dimostrato in vitro, e la sua capacità computazionale all’interno dei sistemi biologici è già stata riconosciuta con applicazioni specifiche.
La funzione di elaborazione del DNA finora è stata spiegata solo rispetto ai calcoli di un sistema dal funzionamento classico, tuttavia il DNA ha la capacità di eseguire calcoli quantistici utilizzando la sovrapposizione di elettroni pi all’interno delle coppie di basi di nucleotidi. L’appaiamento delle basi di nucleotidi è fondato sulle affinità reciproche delle strutture ad anello di pirimidina e purina. Queste strutture ad anello contengono elettroni delocalizzati che formano legami di Van der Waals, i quali conferiscono un momento di dipolo alle strutture legate ad anello. Un momento di dipolo è una polarizzazione di una molecola, che acquisisce un momento magnetico e una distribuzione polare di carica. In questo caso, la distribuzione di carica degli elettroni può passare da una purina a una pirimidina o da una pirimidina a una purina, oppure, dato che si tratta di uno stato meccanico quantistico, può trovarsi su una sovrapposizione delle due.

In più, lo spostamento del dipolo ne fa un oscillatore armonico quantistico, che produce quasiparticelle note come fononi. I fononi con lunghezza d’onda lunga producono suoni, perciò il filamento fotocodificato è in realtà un filamento elettro-tonale. Oltre alla comunicazione e computazione quantistica, questo stato di entanglement quantistico potrebbe essere il motivo per cui la molecola stessa del DNA resta unita dato che, secondo la meccanica classica, le dinamiche che tengono unito il DNA sono insufficienti per mantenere la doppia elica. Comunque, la lunghezza d’onda dei fononi è uguale alle dimensioni dell’elica del DNA, il che dà luogo a onde stazionarie che producono un fenomeno noto come intrappolamento dei fononi.

La capacità del DNA di immagazzinare luce è possibile perché il DNA è un cristallo aperiodico. Erwin Schrödinger, in Was ist Leben?, ha paragonato il cristallo aperiodico di DNA a un capolavoro di arazzeria, intessuto con un disegno coerente e significativo. Poiché, per definizione, il cristallo aperiodico di DNA mostra una quasi-periodicità, viene indicato correttamente anche come quasicristallo. L’esistenza dei quasicristalli non era stata neppure ritenuta possibile finché Dan Shechtman (oggetto di derisione della comunità scientifica) non dimostrò l’esistenza di questi speciali materiali solidi. Alcuni quasicristalli presentano una simmetria addirittura dodecagonale. Se la molecola di DNA dovesse avere una simmetria dodecagonale, la ben nota doppia elica del DNA potrebbe essere più energeticamente stabile in una matrice energetica dodecagonale, che essenzialmente forma 10 filamenti aggiuntivi che danno stabilità energetica. Inoltre, il DNA è in effetti un quasicristallo unico, in quanto è inframmezzato da una periodicità costante nel modello delle ripetizioni in tandem.

L’Universo vivente

Questo trattato iniziava con una domanda: che cos’è la vita? Pur non potendo affatto definire pienamente la più enigmatica delle condizioni dell’essere, esso certamente ha espanso la nostra percezione dell’organismo vivente come sistema biologico quantistico che si interfaccia con il tessuto fondamentale della realtà. All’interno della scienza non esiste una definizione adeguata per la vita. Ciò riflette direttamente una mancata comprensione della natura dell’Universo stesso.
Nella prospettiva del consenso, l’Universo è considerato come composto principalmente di materia inanimata, e in corrispondenza di un certo punto di transizione vagamente definito l’inanimato diventa vivo, e allora si parla di vita. Qui c’è un errore fondamentale. L’Universo è vivo nella sua interezza; dunque, il fatto di essere vivente è una caratteristica dell’esistenza stessa. La vita è esistenza ed è eterna in quanto la natura primaria dell’esistenza, per definizione, è esistere. Dunque, la vita e la coscienza sono infinite ed eterne, e al limite cambiano forma o costituzione, ma non cessano mai.

L’autore:

William Brown, MSc, è un biologo molecolare che lavora per l’Istituto di Ricerca per la Biorigenesi presso l’Università delle Hawaii a Manoa, Honolulu. Il suo mentore, il Dott. Frederic Mercier, è lo scopritore dei complessi proteici della matrice extracellulare all’interno del cervello, che nominò frattoni, dall’insieme di frattali di Mandelbrot. La loro ricerca si concentra sulla spiegazione del ruolo primario dei frattoni e di altri elementi della rete del tessuto connettivo nella creazione della plasticità neurale, l’architettura dei tessuti, la biorigenesi e la nicchia staminale. La ricerca dell’Istituto si focalizza sui processi di sviluppo e formazione di modelli ricorrenti all’interno dell’organismo e la loro applicazione nella rigenerazione di tessuti e organi danneggiati nel corpo umano. Brown conduce ricerche mirate su qualsiasi fenomeno che sia considerato strano, e trascorre principalmente il tempo godendo della natura e della musica e approfondendo la consapevolezza della sorgente interiore che lega ciascuno di noi all’Infinito.

Può essere contattato per posta elettronica all’indirizzo [email protected] e attraverso il sito Web http://williambrownscienceoflife.com.

fonte http://nexusedizioni.it/it/CT/risonanza-mo...uantistica-5498
 
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view post Posted on 12/7/2017, 18:35

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Il Dio della Bibbia era un uomo in carne e ossa



«Veritas nunquam perit (dalle “Troiane” di Seneca v. 614)». “La verità non muore mai”… ed è figlia del tempo, anche se a volte se la prende molto comoda. Nel caso dell’ultimo parassitismo religioso, tuttora imperante col suo falso monoteismo, da ben 3360 anni consecutivi!

Il Dio della Bibbia era un uomo in carne e ossa

Non Dio, né un dio, nemmeno un angelo (interpretando l’ebraico “Elohim” come uno della “coorte celeste” – rif. bibbia C.E.I. 2008, pag. 765 relativamente al versetto 8,6 dei Salmi) e neanche un extraterrestre, come qualche ingenuo vorrebbe dimostrare (senza tenere conto del dettagliato versetto di Esodo 19,16-18 e, magari confrontarlo con il Mahabharata e il Ramayana, indù), ma un uomo a tutti gli effetti, virtuoso sì, in possesso di tecnologie avanzate rispetto ai tempi pure ma, sempre e solo un uomo che, per le sue imprese, è stato venerato anche dai popoli che ha sottomesso. Semplicemente perché, dopo i ciclici cataclismi (si veda, per esempio, il “Timeo” di Platone, con riferimento a Solone), ha fatto rifiorire la cultura, ha fornito leggi e regole per il vivere civile, ha dato indicazioni utili sull’agricoltura, sugli allevamenti e, tante altre cose…

Chiaramente, se per imparare a conoscere questo “dio” si continua a spulciare nei testi falsamente detti sacri, per quanto recenti, o antichi possano essere, non si riuscirà mai a sbrogliare l’intricata matassa, perché è un serpente che si morde la coda. Se poi, leggere un libro di quasi duemila pagine, scritto in piccolo e con note ancora più minute, come l’attuale bibbia data in pasto al pubblico, è ostico anche per il clero, maggiormente lo è per chi, pur non amando le complicazioni, se ne crea altre, ben più gravi, irresponsabilmente.

In ogni caso, se invece di accontentarsi, come ha sempre voluto la chiesa «Basti quel pochissimo che suol leggersi nella messa, né più di quello sia permesso di leggere a chicchessia. Finché gli uomini si contentarono di quel poco, gli interessi della Santità Vostra (che sarebbe papa Giulio III) prosperarono ma, quando si volle leggere di più, cominciarono a decadere (“Avvisi sopra i mezzi più opportuni per sostenere la Chiesa romana” – Bologna 20/10/1533 – Foglio “B” n° 1088 – Vol. II – pagg. 641-650. Conservato al museo del Louvre)» si leggesse solo il “Pentateuco” e, in particolare, i libri di “Genesi” e “Esodo”, ci sarebbe da inorridire. Verrebbe spontaneo chiedersi: “Ma, quale essere malvagio, vogliono farci adorare?” Certamente non Chi ha potenzialmente “programmato” la vita, per esempio, all’interno di un uovo sebbene non fecondato, facendo registrare attraverso un poligrafo, il battito cardiaco del pulcino (esperimenti di Cleve Backster – NY in “La vita segreta delle piante” di Tompkins e Bird, pag. 26).

Tutt’altra cosa sarebbe se ricondotto alla fallibilità umana. D’altra parte, sempre in “Genesi” (18,2-9), si parla chiaramente di un uomo (uno dei tre uomini che si presentarono ad Abramo, stanchi del viaggio, accaldati e affamati. E Abramo, che ben li conosceva, secondo lo stesso versetto, li «adorò fino a terra»).

Nulla di trascendentale perché, “da che mondo è mondo”, questo “mondo” ha sempre viaggiato a due velocità e, forse, lo sta facendo tuttora senza che ce ne rendiamo conto. Tutta la storia, i miti, le tradizioni, le saghe e, quant’altro degli ultimi seimila anni testimoniano la presenza di “Re-Dei”, di razze dominanti, divinizzate dal popolo per paura e ignoranza.

Essere un dio, poi, bastava poco, perché per il popolo era inconcepibile che un uomo, un semplice e normalissimo uomo, si ergesse sopra le masse e si distinguesse, magari anche solo per la sua intelligenza. Doveva per forza avere una natura divina! Così è stato, per esempio, per il poliedrico Imhotep (sacerdote egiziano, matematico, ingegnere e architetto alle dipendenze del faraone Gioser, secondo sovrano della III Dinastia), al quale, divinizzato, furono eretti diversi templi.

Si può essere i più bravi ed esperti traduttori dell’intero universo ma, quando si affrontano i temi della bibbia ebraica, dalla quale nascono tanti altri testi religiosi (compresi: il Corano e il Kebra, o Chebra, Nagast etiope), se non si conosce a mena dito almeno la Cabala (“Il libro dei segreti della Torah”) «per scaltro che tu sia, non puoi che perderti dietro a ogni sorta di congettura», tanto per dirla alla sant’Agostino. Così è stato per dimostrare l’inesistenza del Gesù biblico. Di Gesù (Yeshua) ce ne sono stati diversi, anche uno “zelota” (che indica un ribelle, fuorilegge, terrorista, bandito) di soprannome “Barabba” (“Yeshua bar Abba”, che significa testualmente: “Gesù figlio di Dio”).

Senza prendere in considerazione le più recenti affermazioni di papa Benedetto XVI che, nel suo libro “Perché siamo ancora nella Chiesa” (ed. 2008) mette da parte anche: «il Gesù storico (perché) Ciò che rimane può solo essere un fantasma sul quale nessuno vuole più costruire seriamente», oppure le datate accuse del neoplatonico Celso che, nel 180 d.C. «accusò di plagio gli insegnamenti di Gesù» (forse perché aveva letto i Salmi concernenti Davide), era più semplice verificare di quale dio fosse figlio Gesù. Andare, cioè, alla fonte ultima.

Bisogna dirigersi più indietro nel tempo e, volendo, nemmeno tanto indietro, perché già Evemero da Messina (330-250 a.C., meglio conosciuto attraverso gli scritti di Diodoro Siculo 90-27 a.C.) ne dà una descrizione dettagliata e, molto esaustiva in quello che è stato volutamente fatto passare per un “romanzo”, al fine d’imbrogliare le carte.

Nella sua “Storia Sacra”, riguardante l’isola di Pancaia (nell’oceano Indiano), in base ai racconti a lui fatti dalla locale classe sacerdotale, Evemero descrive Zeus, nato a Creta, come ultimo grande re di quest’isola, il quale, assicuratasi l’alleanza con Belo, re di Babilonia (Bel o Marduk), conquistò la Siria, la Cilicia e l’Egitto, dove ricevette il titolo onorifico di Ammone (o Amon, il misterioso, il nascosto, una delle principali divinità della mitologia egizia che, da dio guerriero [come quello degli eserciti dell’Antico Testamento biblico], divenne dio supremo). Con questo nome – continua Evemero – fu onorato sotto le spoglie di un ariete, poiché in battaglia indossava un elmo aureo ornato appunto da corna d’ariete. Percorsa cinque volte la terra e, beneficatala con i semi della civiltà e della religione, Zeus, in tarda età, prima di morire, condusse a Pancaia i suoi discendenti, ai quali lasciò compiti specifici di governo. Morto Zeus, che aveva fatto incidere su una stele d’oro le imprese sue e dei suoi avi, gli fu eretto un tempio ed Ermes, suo figlio, incise sulla stele le imprese dei suoi discendenti che, come lui, sono stati onorati come “Dei” per le grandi imprese compiute…

«Evemero divenne famoso rapidamente proprio per la sua teoria, l’evemerismo, cioè la spiegazione razionalistica della genesi degli Dei, secondo la quale essi erano stati in origine uomini molto potenti che si erano, in seguito, guadagnati la venerazione dei concittadini (Wikipedia)». In passato, la patristica cristiana (filosofia dei primi secoli, elaborata dai Padri della chiesa e dagli scrittori ecclesiastici, cercando d’interpretare il Cristianesimo mediante concetti ripresi dalla filosofia greca – Wikipedia) accolse la teoria di Evemero con molto favore, giacché si accostava molto (e si approssima tuttora) alla realtà sulle origini comuni di tante religioni, più di quanto si possa mai immaginare.

Da notare, oltre alla più modesta natura di Zeus rispetto ai miti greci, come la storia sia sempre la stessa, impastata e rimpastata continuamente. L’egiziano Amon, il babilonese Marduk (Zeus Belo), l’etrusco Tinia e il romano Giove, per rimanere nella stessa area più ristretta, rappresentano tutti il medesimo personaggio, cioè Zeus, il quale, nonostante la sua imponente presenza nel pantheon greco, mantenne a lungo la sua grande influenza particolarmente sull’Egitto anche col suo vero nome, sebbene capovolto: “Suez” (golfo, città e canale).

Nell’iconografia egiziana Zeus (l’uomo) divenuto Amon (il dio, detto anche “dio cornuto”) è raffigurato con le corna al cui centro è posto il disco solare per accentuare la sua natura divina. Cosicché, anche i suoi sacerdoti portavano copricapi con le corna d’ariete. In altre raffigurazioni sono evidenti due raggi di luce partenti dal capo. Le stesse corna e/o raggi con i quali diversi artisti, da Michelangelo in poi, hanno rappresentato Mosè. Per divinizzarlo al pari di Zeus/Amon, o per svelarne la vera identità? Perché anche Mosè non è quello che si vorrebbe che fosse.

Il faraone Amenhotep IV (nome poi sostituito con Akhenaton), come aveva correttamente intuito Freud, è Mosè. Non “salvato dalle acque da bambino” ma, da adulto quando, in fuga dalla sua città, Akhetaton, per l’eruzione del Thera (1344 a.C.), attraversò con il suo popolo (che da egiziano diventò giudeo/ebreo) il “mare di canne” all’asciutto come profetizzato dal saggio Neferty al faraone Amenemhat I, al quale predisse anche la morte dell’Egitto, come la fine del mondo.

Con il nome di Akhenaton, per contrastare lo strapotere dei sacerdoti tebani, aveva già inventato un nuovo “dio”, Aton, sulla falsa riga (un vero e proprio plagio) di Amon (sempre Zeus divinizzato), nel quale, invasato com’era, arrivò persino a identificarsi. In seguito, con il nome di Mosè, inventò un altro nuovo “dio”: Yahvé/Adonai il “dio” d’Israele (come descritto nello Zohar, che per gli ebrei fa parte delle “sacre scritture”). Sempre più invasato, s’identificò nuovamente nel nuovo “dio”, sul nome del quale ricamò, con l’aiuto dei suoi sacerdoti (i Leviti), il Pentateuco, pietra miliare da cui è scaturito, per ignoranza, tutto il resto dell’immenso imbroglio tuttora imperante. Questo, perché furono inserite diverse chiavi di lettura e, al popolo, è finita solo “l’apparenza“.

Nel 2003 e 2004 uscirono due libri “Tutto quello che sai è falso” vol. 1-2 (“Manuale dei segreti e delle bugie” a cura di Russ Kick), con articoli molto interessanti, ma non quanto quel titolo che poneva dubbi ben più ampi: “E se fosse vero che tutto ciò che sappiamo ma, proprio tutto, è falso?”… purtroppo è così! E ci sono evidenti ragioni, in gran parte maltusiane (Thomas Robert Malthus, che fornì le basi dottrinali per la teoria di Darwin). Ma, non è nemmeno così, allo stesso modo e, con le stesse ragioni, per cui un grande saggio interrogato sull’esistenza dell’Inferno si espresse in questo modo: «Se dicessi che l’Inferno esiste mentirei! Se dicessi che l’Inferno non esiste mentirei!».

Questo perché l’umanità, in generale, non conosce la sua vera natura. Non conosce nemmeno le sue potenzialità. Perché si sono guardati bene dall’insegnargliele entrambe, anche se qualche ammonimento è trapelato, ma invano: «Fai attenzione a come pensi e a come parli, potrebbe trasformarsi nella profezia della tua vita (san Francesco d’Assisi)»

Cosicché, una grande minaccia incombe su tutta l’umanità. Non proviene da quei quattro fessacchiotti che, prendendo alla lettera i timori di Malthus, perseguono da tempo un “Nuovo Ordine Mondiale” e, terrorizzati, si tengono ben stretta quasi tutta la ricchezza del Pianeta (Nel suo libro “An Essay on the Principle of Population“, pubblicato nel 1798, Malthus scriveva: «Il potere della popolazione è così superiore al potere della terra di produrre sussistenza per l’uomo che una morte prematura deve in una forma o nell’altra visitare la razza umana...»). Proviene dall’accettazione passiva di tutto ciò che è spudoratamente falso, che permette, per esempio, che l’Inferno esista e non esista allo stesso tempo. Un’anomalia nel “sistema”. Un “virus”, che, ostacolando il normale processo evolutivo, a breve sarà estirpato… in un modo, o in un altro…

Il libro qui presentato, attraverso prove inconfutabili, apre gli occhi su tutte le dinamiche in gioco: religiose, storiche, politiche, sociali, scientifiche, filosofiche ed esoteriche (comprese le dettagliate macchinazioni dei suddetti fessacchiotti “I protocolli di Sion”) e dà tutte le indicazioni necessarie per sfuggire alle suddette minacce incombenti. Naturalmente, poiché «l‘uomo è libero al punto da potere negare la propria libertà innata», siete anche liberi di scegliere se avere un futuro qui, o altrove.

Roberto Morini
(book) http://artemisia-edizioni.blogspot.it/

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view post Posted on 20/10/2017, 16:34

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IL FALLIMENTO DELLA POLITICA ALLA LUCE DELLA SOCIOSOFIA

Il futuro viene plasmato dai fatti, non dai desideri e dalle opinioni. Il cambiamento di paradigma che ci attende riguarda il modo in cui la gente percepisce fondamentalmente la vita.

di Mario Haussmann



Chi conosce la terra dove il cielo
d’indicibile azzurro si colora?
dove tranquillo il mar con l’onda sfiora
rovine del passato?
dove l’alloro eterno ed il cipresso
crescon superbi? dove il gran Torquato
cantò? dove anche adesso
ne la notte profonda
i canti suoi va ripetendo l’onda?
la terra ove dipinse Raffaello,
dove gli ultimi marmi
animò di Canova lo scalpello
e Byron rude martire ne’ carmi
dolore, amore effuse e imprecazione?
Italia, terra magica, gioconda
terra d'ispirazione!

– A.S. Puskin
(poesia pubblicata in Lupi, Palamidese, Il corpo del testo, Clio edizioni)



Dovunque guardiamo è sfacelo. Scorgiamo degrado in ogni ambito, nella politica sempre più inerme di fronte alla gravità dei problemi, nella società civile sempre più insicura e minacciata in molti modi, nell’economia in crisi perenne. Vediamo il degrado nelle nostre città e nel paesaggio, lo sentiamo, lo assaporiamo, lo annusiamo, lo percepiamo dappertutto.
Ogni giorno ci sono innumerevoli fattori che limitano la nostra felicità. I gravi problemi su cui è focalizzata la nostra attenzione sono solo una parte dei problemi esistenti, e questo per molti è un bene, perché se potessero percepire la vastità e gravità di tutti i problemi contemporaneamente ne sarebbero sconvolti.
Quindi ognuno si occupa o si preoccupa di una limitata selezione di problemi, etici, economici, sociali, ecologici, salutistici, e così via, escludendo dalla propria percezione la marea di problemi di cui si occupano coloro che hanno una visuale diversa.
La felicità generale è praticamente scomparsa, dal momento che tutti ormai abbiamo per un motivo o l’altro la sensazione di essere in grave pericolo. Tassazione e regolamentazione in perenne aumento, inquinamento dilagante aggravato dalla geoingegneria e da emissioni elettromagnetiche, concentrazione di capitali che fagocita velocemente tutte le attività economiche e politiche, problematiche sanitarie, di convivenza tra culture diverse, disfunzioni della giustizia, dell’istruzione, dell’urbanistica, del sistema bancario, l’incombente minaccia di una mostruosa guerra distruttiva, dipendenze alimentari ed energetiche, aumento della criminalità, e tanti, tanti altri fattori impensieriscono la gente, creano ansia e delusione, e procurano a tutto il popolo inutili difficoltà.

La maggioranza delle persone prova davanti a questa montagna di problemi un senso di disorientamento e di impotenza e si aspetta le soluzioni dalla politica e dagli esperti.
L’intero panorama politico è però caratterizzato dall’incapacità di gestire la complessità delle problematiche e tutti gli schieramenti e partiti sono accomunati dalla mancanza di idee pratiche per risolverle rapidamente. Nessuno ha la più pallida idea di come rendere felice la nazione, perché tutti indistintamente non riescono a comprendere che la causa delle disfunzioni è insita nel sistema e che quindi all’interno del sistema stesso non possono essere trovate soluzioni adeguate.
Infatti vediamo che se anche un partito ha da proporre la soluzione sensata per un determinato problema, su tanti altri problemi ha le idee vaghe e confuse, e i portavoce tacciono tali argomenti o dicono cose totalmente insensate a riguardo. Un altro partito, invece, propone una buona soluzione per un altro problema, mentre per il resto è uguale al primo, e ciò rende impossibile ai cittadini dare il loro pieno appoggio a una corrente, perché la maggioranza di loro ammette che in certe cose hanno ragione gli uni e in altre gli altri. Quindi il voto non è espressione della volontà, ma solo la scelta del male minore.
Necessitiamo dunque di un nuovo sistema, perché i fatti hanno dimostrato il completo fallimento del sistema democratico fondato su partiti e parlamenti. Anche il concetto maggioritario è fallimentare alla luce del buonsenso. Infatti che cosa significa decisione di maggioranza? Che se vince il 51% ci saranno il 49% di scontenti? È ovvio che il metodo democratico tradizionale è inadatto al raggiungimento della felicità generale.

Risulta evidente che la mancanza di prospettive della politica odierna deriva dalla sua totale incapacità di gestire la complessità della situazione. Negli ultimi decenni la complessità è aumentata enormemente in quasi tutti gli ambiti dell’esistenza e molte organizzazioni umane, tra cui i partiti, hanno grandi difficoltà, o addirittura falliscono, nella gestione di questa complessità.

Quando un’organizzazione non è più in grado di gestire la complessità, essa perde efficienza e non riesce più a soddisfare il suo scopo originale. Spesso la mancanza della capacità di adattamento a situazioni mutate è la causa del crollo improvviso di imprese, istituzioni o Stati.

Per affrontare in maniera adeguata questa crescente complessità è necessario un sistema in cui tutte le funzioni manageriali vengano svolte in modo adeguato da poterla gestire soddisfacentemente. Dobbiamo alle scoperte dello scienziato Ilia Prigogine la nascita di quella che in seguito venne chiamata l’“epistemologia della complessità”, cioè di quella scienza interdisciplinare che si occupa dei sistemi complessi e dei loro fenomeni emergenti. Essa coinvolge rami come la matematica, la fisica, la chimica, la biologia, l’ecologia e le scienze sociali.
Superando il dualismo cartesiano, questa scienza ci permette di comprendere il funzionamento dei fenomeni complessi, come le reti, e getta un ponte tra la filosofia e la scienza. Infatti, la nuova prospettiva offerta dall’epistemologia della complessità ha permesso di arrivare a concepire anche modelli dell’attività psichica, riunendo gli sforzi di ricerca di neurologi, neuropsichiatri, psicologi, informatici, linguisti, antropologi, sociologi e filosofi della mente.
È completamente irragionevole voler cambiare il sistema, senza avere una chiara concezione del nuovo che si vuole erigere, e nessuno ci può offrire modelli migliori per la gestione della complessità che la Natura stessa, la quale in milioni di anni ha trovato soluzioni valide, semplici e pure eleganti anche per le situazioni più complesse.

Possiamo costruire il sistema politico di cui abbisogniamo solamente abbandonando tutte le concezioni politiche obsolete che abbiamo e prendendo spunto da come la Natura organizza i sistemi organici. La parola “organizzazione” contiene il termine “organico”, e dunque per condurre coerentemente grandi organizzazioni, dallo Stato alle aziende, è necessario prendere spunto dai modelli che ci vengono offerti dalle strutture naturali, organiche e viventi. Un organismo biologico, come per esempio il corpo umano, è composto da innumerevoli strutture e organi che svolgono funzioni diverse per il bene di tutto l’organismo.

Il corpo umano è il miglior esempio di una struttura complessa, formata da una rete di strutture complesse. La testa, il tronco, le braccia e le gambe non formano una gerarchia, ma un’unità organica nella quale le singole parti hanno funzioni differenti, ma hanno la stessa importanza e lo stesso valore. In maniera analoga dev’essere organizzata la società del futuro.

Le grandi strutture centralizzate, come i governi e le istituzioni internazionali della globalizzazione, reagiscono lentamente ai cambiamenti. Questo significa che è facile che i cambiamenti che vengono avvertiti in una parte del sistema influenzino solo lentamente le altre parti di esso, e quando questo processo si rivela troppo lento, conduce al disastro.
In una rete formata da piccole unità indipendenti collegate fra loro ci sono maggiori possibilità di reagire velocemente in maniera efficace. La Natura mostra che le piccole unità sopravvivono più facilmente di quelle grandi. Esse sono solitamente più mobili, flessibili e adattabili.
Ogni organismo vivente è composto da vari sistemi viventi, e nello stesso tempo è parte integrante di un più vasto sistema vivente. Come nelle bambole matrioska della tradizione russa, dove una bambola è formata da un insieme di bambole, una inserita nell’altra, così possiamo immaginarci i sistemi viventi.
Il sistema proposto dalla Sociosofia è totalmente inedito e permette di godere dei vantaggi partecipativi della democrazia diretta, assieme alle agevolazioni regolative della rappresentanza. Esso consiste di una rete di autogoverno del popolo, strutturata secondo precisi criteri in armonia con i principi della Natura. Il principale vantaggio di questo sistema consiste nel fatto che esso è in grado di crescere da solo, ed evolversi a partire da un nucleo embrionale come una rete biologica.

Il nuovo sistema deve essere creato in partenza flessibile, capace di integrarsi e di cooperare con altri sistemi, cioè come una rete articolata e auto-organizzante, in modo da collegare fra loro tutti i cittadini e permetterne la collaborazione fattiva.

Una rete non forma lobby, non dà la preminenza a una questione rispetto alle altre, ma crea una condizione di autonomia, cooperazione, libertà e interdipendenza in maniera naturale e armoniosa. È l’esatto contrario del sistema statale attuale, basato sulla contrapposizione e sulla gerarchia. La rete favorisce le interazioni fra le persone, come anche fra le persone e le istituzioni, eliminando qualsiasi funzione centralizzante o di potere...

fonte http://www.nexusedizioni.it/it/CT/il-falli...sociosofia-5661

La continuazione della lettura è possibile su su PuntoZero nr. 7,oppure comprare i tre volumi https://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__...i-haussmann.php

Non vi è dubbio che sia moltoo lungo,e che costi caro,ma la conoscenza,la vera conoscenza non ha prezzo!

orso in piedi
 
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view post Posted on 22/12/2017, 12:07

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Un nuovo studio esamina come la coscienza nell’Universo sia invariante di scala e implichi un orizzonte degli eventi del cervello umano

Un documento pubblicato di recente nel Journal of NeuroQuantology, presenta un modello unitario che ridefinisce la fisica della coscienza e della dinamica di informazione che avviene tra i livelli fondamentali dell’Universo e i sistemi viventi. Si stanno facendo passi avanti nello studio della fisica della coscienza e delle dinamiche dell’informazione in generale, attraverso la scoperta dei principi olografici e frattali della natura. Per esempio, in una organizzazione frattale il grado di complessità di un sistema è invariante di scala o non varia con qualsiasi traslazione di magnitudine. Questo significa che si può fare uno “zoom” e ingrandire o rimpicciolire all’infinito, ma si osserverà sempre lo stesso livello di complessità, ripetizioni di stessi schemi all’infinito. Questo ha implicazioni per la scienza della coscienza e si assume spesso che la coscienza emerga in un sistema, una volta che esso raggiunge un significativo limite di complessità e integrazione. Tuttavia, se la complessità è invariante di scala, non sarebbe possibile che gli stessi processi dell’informazione che generano coscienza in un dominio osservabile, avvengano anche nelle scale delle dimensioni più piccole?

Lo studio recente esamina l’evidenza di una natura invariante di scala della coscienza in cui la geometria toroidale, come il toroide doppio, può modellare la coscienza in tutti i livelli frattali dell’Universo e si manifesta nel sistema cognitivo umano come spazio olografico nel cervello, ovvero un “orizzonte degli eventi del cervello”. Gli autori del documento, il Dr.Meijer, professore emerito all’Università di Groningen e il Dr.Geesink, biofisico che ha sviluppato nuove tecnologie di schermatura elettromagnetica e ha guidato progetti sulle nanotecnologie, si sono occupati di lavori rivoluzionari nella ricerca della biofisica e stanno rispondendo ad alcune delle domande più resistenti nella biologia e in altri campi scientifici. Da una meta-analisi di più di 500 pubblicazioni biomediche che collegano la radiazione elettromagnetica e l’interazione con il sistema biologico, Geesink e Meijer identificano un nuovo e specifico modello di frequenze EM coerenti che possiedono bio-risonanze statisticamente significative. Con l’identificazione di specifici domini di frequenza EM che mostrano effetti significativi nel sistema inter e intracellulare, i ricercatori sono riusciti a connettere i loro dati con risonanze di nucleotidi in soluzione acquosa conosciute, ma anche di proteine ed enzimi e vibrazioni indotte dal suono in bio-polimeri e membrane cellulari.

La ricerca descrive in dettaglio l’interazione di luce e suono nel sistema biologico, il come le onde fotoniche, fononiche e solitoniche siano necessarie per mantenere e dirigere coerenza ed ordine nel sistema inter e intracellulare, per lo sviluppo e il processamento di informazione. Le oscillazioni solitoniche nelle bio-molecole possono risultare in coerenza quantistica, detta condensazione di Fröhlich, che, come spiegano Meijer e Geesink, può creare organizzazioni ondulatorie quantistiche che guidano le biomolecole e le cellule in modo simile alla struttura dell’onda pilota nella meccanica di Bohm. Questo mostra come il sistema vivente e i processi dell’informazione sottostanti alla coscienza, siano basati su un livello molto più fondamentale e intrinseco dell’Universo.
Documento scientifico: neuroquantology.com
“Il nostro cervello non è un organo di processamento dell’informazione “indipendente”: esso agisce come parte centrale del nostro sistema nervoso e scambia informazione continuamente con l’organismo e il cosmo. In questo studio il cervello è visto come integrato in un campo olografico e strutturato che interagisce con strutture sensibili delle cellule del corpo. Per poter spiegare risposte ultra-rapide anticipate del cervello e l’operatività efficace del sistema neurale meta-stabile, si propone un campo ricettivo mentale che comunica col cervello. Il nostro sistema nervoso è visto come una rete composta da multi-cavità, che interagisce col suddetto dominio meta-cognitivo. Esso integra, tra altri, schemi discreti di frequenze proprie (eigenfrequencies) di onde fotoniche/solitoniche, aggiornando costantemente uno spazio di memoria simmetrico nel tempo dell’individuo. La sua organizzazione toroidale permette l’accoppiamento di energia gravitazionale, oscura e di punto zero (ZPE), così come di energia del campo magnetico terrestre e trasmette informazione nel tessuto cerebrale, che è quindi necessario nel processamento di informazione conscia e sub-conscia.

Proponiamo che tale campo ricettivo, interagendo con il sistema nervoso, generi l’auto-coscienza e operi da una quarta dimensione spaziale (ipersfera). La sua struttura funzionale è adeguatamente definita dalla geometria del toroide, visto come unita basilare (operatore) dello spazio-tempo. Quest’ultimo è strumentale nel raccogliere lo schema di frequenze solitoniche che fornisce un algoritmo per i processi coerenti della vita. Si postula che la coscienza nell’intero Universo emerga attraverso accoppiamento invariante di scala e toroidale, di vari campi di energia, che possono includere correzione d’errore quantistica. Nel cervello della specie umana, questo prende la forma del proposto spazio di lavoro olografico, che raccoglie informazione attiva in un “orizzonte degli eventi cerebrale”, rappresentando un modello interno ed integrale del sè. Questo spazio superiore è equipaggiato per convertire onde coerenti di energia in onde stazionarie/attrattive che guidano l’ambiente corticale in una coordinazione superiore di riflessione ed azione e sincronicità di rete, come richiesto dagli stati di coscienza. In relazione al suo carattere invariante di scala, troviamo supporto per una matrice di informazione universale, descritta a fondo precedentemente, come ordine implicato e in uno spettro di teorie della fisica corrente. La presenza di uno spazio di lavoro ricettivo di campi e risonante, associato con, ma non riducibile a, il nostro cervello, può fornire una interpretazione per stati di coscienza transpersonali ampiamente riportati, ma poco compresi e alla origine algoritmica della vita. Esso punta anche ad una connessione profonda dell’umanità con il cosmo e ad una nostra superiore responsabilità per il futuro del pianeta.”
Dirk K.F. Meijer, Hans J H Geesink

fonte https://resonance.is/new-study-examines-co...on-human-brain/

da http://www.altrogiornale.org/un-studio-esa...cervello-umano/

orso in piedi
 
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view post Posted on 17/1/2018, 11:31

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Anima e Coscienza: intervista a Massimo Teodorani

di Anna Biason

In che modo la fisica quantistica è in grado di spiegare la coscienza?
La fisica quantistica entra nello studio del cervello e quindi della generazione dei processi di coscienza, grazie al modello congiunto del famosissimo fisico-matematico britannico Roger Penrose dell’Università di Oxford e dell’anestesiologo statunitense Stuart Hameroff della Arizona University. L’ipotesi, che negli ultimi tempi sta prendendo sempre maggior forza e credibilità negli ambienti accademici, asserisce che i processi di coscienza siano dovuti alle Tubuline, proteine presenti nei Microtubuli, a loro volta componenti fondamentali del cervello che regolano le connessioni tra le sinapsi. In base alle loro peculiari caratteristiche, le tubuline costituiscono un tutt’uno a livello quantistico, perché sono legate dalla stessa funzione d’onda, dal momento che sono intimamente legate tra loro da uno stato di “coerenza quantistica”, ovvero una forma di entanglement che lega localmente tra loro più particelle. Ciò che avviene nelle tubuline è in tutto identico a quello che succede con i fotoni prodotti da un Laser, ossia il blocco di tubuline in stato di coerenza collassa spontaneamente (per dirla nel gergo della meccanica quantistica) e in maniera orchestrata, come se un solo direttore controllasse il processo. La coerenza quantistica nei microtubuli, e quindi delle tubuline in essi contenuti, è garantita dal fatto che le particolari condizioni di isolamento dei microtubuli nel cervello, grazie alla mediazione di un tipo di “gel”, li rendono sufficientemente inattaccabili dal fenomeno della decoerenza, cosa che distruggerebbe il legame quantistico e che si verifica quando un sistema quantistico si trova ad interagire con fattori fisici esterni.

A questo punto come si forma la coscienza?
Il processo avviene sostanzialmente in due fasi. Nella prima fase abbiamo un “momento inconscio” corrispondente alla sovrapposizione quantistica di tutti i 109 stati delle tubuline nei microtubuli, una specie di “limbo della coscienza” di brevissima durata. Nella seconda fase abbiamo il “momento conscio” vero e proprio corrispondente al collasso della funzione d’onda che raccoglieva in sé in un unico stato quantistico, il complesso entanglement globale che unisce i microtubuli nel cervello: questa seconda fase viene denominata “riduzione obiettiva orchestrata”. Il fisico matematico Roger Penrose, spiega il processo di formazione di un dato “momento di coscienza” come una perturbazione spontanea che avviene a livello del “vuoto quantistico” o Campo di Planck (10^-33 cm) con effetti sia quantistici che relativistici.

In tal modo il cervello non sarebbe altro che un vettore in grado di rendere manifesta una Coscienza che di fatto si troverebbe “altrove”. Tanto maggiore sarà l’Energia E = h/t (dove h è la costante di Planck) associata alla massa dei microtubuli (dipendente dal numero degli stessi) e: 1) tanto minore sarà il Tempo con cui avrà luogo il Collasso; 2) tanto maggiore sarà il numero di momenti di coscienza esperiti nel corso di una giornata. Mediamente per un essere umano un “momento di coscienza” generato da questo meccanismo dura 1/60 di secondo, in maniera tale da esperimentare circa un milione di momenti di coscienza nel corso di una giornata. Dalla semplicissima equazione presentata sopra si evince che se facciamo tendere all’infinito il valore dell’energia allora avremo che il Tempo t tenderà a zero: questa sarebbe la “Coscienza di Dio”, ovvero un limite irraggiungibile, dato che corrisponderebbe ad un numero infinito di momenti di coscienza in un tempo nullo. Il modello quantistico della coscienza, che si sta prepotentemente imponendo sul vecchio modello del cervello secondo il quale la coscienza non sarebbe altro che un processo puramente elettrico innescato dai continui scambi di energia che hanno luogo tra i neuroni, mette bene in chiaro un aspetto: non è in alcun modo possibile avere momenti di coscienza se non esiste un vettore fisico dotato di proprietà di coerenza quantistica che la esplichi, come ad esempio il cervello e i microtubuli in esso contenuti. Ma in teoria ciò potrebbe verificarsi anche tramite altri vettori, come ad esempio un condensato di Bose-Einstein (un conglomerato di atomi ottenuti raffreddando la materia fino a circa lo zero assoluto) o addirittura un Laser o forse anche un plasma.

L’idea che la coscienza, che forse potrebbe anche coincidere con il fattore “anima”, possa esistere (almeno come fattore attivo) del tutto sganciata dalla materia è smentito anche dal modello che il fisico teorico David Bohm fornisce del comportamento di una particella elementare, per la quale è necessario invocare una componente causale e locale soggetta alle normali leggi di causa-effetto strettamente agganciata ad una componente non-locale e a-causale rappresentata dal cosiddetto “potenziale quantistico” (il fattore che spiega matematicamente la natura del fenomeno dell’entanglement, altrimenti detto “sincronicità quantistica”). Secondo questa visione scientifica, dunque, il fattore Coscienza, inteso nella sua operatività ha assolutamente bisogno di un vettore fisico per esplicarsi. In caso contrario resta comunque una specie di “software” in grado di conservare tutta l’informazione acquisita in attesa di un hardware che lo metta in atto.

Come si spiega lo spirito in modo scientifico, anziché religioso o metafisico?
Direi che il concetto di “spirito” potrebbe spiegarsi proprio con il concetto di potenziale quantistico elaborato da David Bohm, ovvero di un fattore non-locale per il quale non valgano le normali leggi di causalità (e quindi anche i limiti imposti dalla velocità della luce). Un fattore in grado di “esistere” come una unicità che avvolge tutto il cosmo, dove tutte le apparenti frammentazioni rappresentate dalle coscienze dei vari esseri senzienti cessano di esistere. Il nostro spirito, a mio avviso, non è altro che una piccola scintilla generata dallo stesso eterno fuoco. Ma anche in questo caso lo spirito per manifestarsi ha bisogno di un corpo, di qualunque tipo.

Questa è la ragione per la quale esiste il mondo fisico propriamente detto: al fine di permettere allo spirito, alla coscienza e all’anima di esplicarsi e cioè di fare in modo che quello che è di fatto un deposito non fisico di informazione (appunto lo spirito e con esso la coscienza e l’anima), agente proprio come un software non locale, possa essere usato tramite un hardware chiamato corpo fisicoo più generalmente “materia”. Pertanto certe nuove conoscenze estese della fisica quantistica non mettono affatto in dubbio le leggi meccanicistiche della fisica tradizionale – i modelli matematici e le misure fatte in maniera ripetibile all’infinito mostrano che queste leggi funzionano straordinariamente bene – ma semplicemente aprono le porte ad un altro mondo (quello non-locale) che non è alternativo al primo, bensì perfettamente complementare e agganciato ad esso.

Dunque il problema della fisica attuale non è affatto quello di scartare la fisica classica tradizionale e la teoria della relatività sua naturale estensione, bensì quello di espanderla con un “quid” che per millenni è rimasto nelle mani delle religioni o dei pensatori e filosofi metafisici (ad esempio il “mondo delle idee” di Platone) o addirittura della magia. Tutto ciò ci mostra quanto e come sia esteso, potenzialmente, il raggio di azione della scienza, la fisica in particolare. E il suo obiettivo finale è quello di tentare di descrivere l’Universo non solo come mappa, ma anche come territorio, non solo come trattazione epistemologica ma anche come trattazione ontologica, dove la materia priva di coscienza o di un programma che la guidi sarebbe un assoluto non-senso. Inoltre le leggi fisiche in generale e le costanti stesse di natura sono troppo ben sintonizzate tra loro perché si debba pensare ad un universo che sia cieco o puro frutto del caso.

Come interagisce lo spirito con la materia?
A parte le relazioni matematiche del prima citato Bohm che legano lo spirito (o coscienza) inteso come potenziale quantistico alla materia (la fisica classica) e che potrebbero stare alla base di quanto si argomenterà tra poco, al giorno d’oggi non esistono ancora modelli teorici che siano in grado di spiegare in maniera rigorosa e autoconsistente una possibile interazione tra spirito (o mente o coscienza) e materia. In linea di principio il potenziale quantistico ci dice che esso è agganciato alla materia, ma non spiega (perlomeno non ancora) in che modo lo spirito stesso possa influire direttamente sulla materia, tramite la creazione di fenomeni strani come ad esempio la telecinesi, la levitazione o il poltergeist. Certamente in alcuni laboratori seri di parapsicologia si è riusciti a dimostrare che in talune circostanze certi fenomeni definiti “paranormali” si realizzano veramente. Ma poi il risultato di tali sperimentazioni richiedono che su di esse venga poi costruito un modello matematico che ne costituisca un’ossatura. Non siamo arrivati ancora a quel punto.

Inoltre, secondo i canoni standard della scienza, gli esperimenti devono essere ripetibili da qualunque osservatore nelle stesse medesime condizioni. Ma in certe bizzarre fenomenologie ciò non sempre accade, probabilmente a causa del fatto che a volte l’osservatore stesso perturba la realtà osservata, secondo una meccanica che ricorda indubbiamente molto di quanto accade quando un osservatore (o misuratore) tenta di studiare stati quantistici come le particelle elementari. Ho l’impressione che per riuscire ad arrivare a costruire una vera scienza che descriva in maniera rigorosa l’interazione tra mente e materia sia necessario monitorare simultaneamente sia l’oggetto osservato (costituito dal talento psichico mentre opera sulla materia perturbandola) che l’osservatore che lo osserva e la questione diventa complicata anche se in linea di principio non impossibile da risolvere. Perlomeno, a prescindere da certune evidenze sperimentali (anche se occasionali) che già abbiamo, sappiamo già come affrontare il problema prima di risolverlo.

Esperimenti effettuati da svariati biofisici mostrano che certi effetti della mente sulla materia non si verificano mai quando in presenza del talento psichico che dovrebbe produrli si trovano osservatori scettici, mentre succede il contrario quando gli osservatori sono di mente aperta (il che non vuol affatto dire mancanza di rigore nella gestione dell’esperimento). Alcuni ricercatori seri, come ad esempio il Dr. Dean Radin, ritengono che l’influsso dell’osservatore (e quindi della sua mente) sulla potenziale “sorgente mentale” dei fenomeni funzioni esattamente come il classico fenomeno dell’interferenza in fisica, che può essere sia distruttiva che costruttiva. La comprensione di tali effetti è di basilare importanza nella messa a punto dei futuri esperimenti.

Dell’anima cosa si sa?
Sarebbe decisamente disonesto dire che la fisica possiede una conoscenza del “fattore anima”, anche per le ragioni discusse sopra. Ciò ancora non sussiste. Tuttavia è possibile fare alcune deduzioni decisamente importanti. Esistono recenti studi biofisici sul DNA, come ad esempio quelli del biofisico russo Peter Gariaev, che mostrano che quello che noi chiamavamo “DNA di scarto” in realtà potrebbe rappresentare il filo di Arianna che collega l’anima al corpo. D’altro canto esistono interessantissimi studi come quelli del fisico teorico Emilio del Giudice (scomparso molto recentemente) sulla coerenza elettrodinamica quantistica che mostrano come la materia biologica e in particolare l’acqua in essa contenuta, non possa reggersi senza una “cabina di regia” che la governi. Si tratterebbe di un tipo di “campo informativo” il cui compito non è quello di trasportare energia, bensì quello di trasportare Informazioni in maniera sincronizzata a tutte le particelle. È chiaramente una struttura di ordine (ovvero: di coerenza), che si accompagna alle normale strutture di disordine e caotiche tipiche dei moti molecolari. Questa cabina di regia sarebbe rappresentata proprio da un campo quantistico elettrodinamico coerente in grado di innescare a sua volta campi elettromagnetici che sarebbero responsabili della coesione delle molecole, in grado di garantirne una evoluzione coerente.

Campi di questo genere prenderebbero ordine in maniera non locale proprio dal potenziale quantistico (come lo aveva definito Bohm). Secondo tale scenario il potenziale quantistico informerebbe in maniera non-locale la materia biologica, attivando precise frequenze del campo elettromagnetico intrappolato nella materia (atomi, molecole, cellule), il quale creerebbe a sua volta strutture coerenti nella materia stessa facendole assumere precise oscillazioni di fase. Manifestazione di questi campi elettromagnetici biologici sono sicuramente i cosiddetti “biofotoni”, più volti osservati in laboratorio utilizzando sensibilissimi fotomoltiplicatori, sulla base di studi iniziati dal biofisico tedesco Fritz Albert Popp dei laboratori di Kaiserlautern e poi proseguiti da altri, come ad esempio il già citato Gariaev. A questo punto cos’è esattamente l’anima? Ancora non lo sappiamo, ma potremmo intuirlo abbastanza facilmente. L’anima non sarebbe altro che uno degli infiniti bracci di una immensa piovra rappresentata dal potenziale quantistico, sede della coscienza, e funzionante anche come banca di memoria, un “ente” che sarebbe emanazione dello stesso campo elettrodinamico quantistico.

Anima non come oggetto fisico, bensì come “oggetto informatico”, ovvero informazione pura. Ogni anima, se vogliamo speculare in maniera un po’ pindarica, potrebbe rappresentare una specie di terminale di computer, mentre il potenziale quantistico rappresenterebbe il computer centrale che dirige tutti i terminali. Ma essa si configurerebbe come terminale in senso stretto solamente se essa è agganciata ad un corpo di qualche natura, ovvero di un corpo che possa garantire effetti di coerenza quantistica in grado di garantire la formazione di momenti di coscienza. Anche un plasma (una condensazione di ioni ed elettroni liberi) potrebbe forse essere uno di questi vettori (o “corpi”), non solamente un corpo denso di natura biochimica, e certi studi recenti pubblicati su prestigiose riviste come il New Journal of Physics mostrano che i plasmi in talune condizioni manifestano caratteristiche in tutto identiche al DNA umano e quindi ai processi che portano alla manifestazione della Vita. Dal momento che una vita senza coscienza (e quindi senza veri valori morali e spirituali) non avrebbe alcun senso nell’economia dell’universo, è logico pensare che l’anima presente in qualunque corpo (almeno idealmente) debba servire anche come una specie di “scatola nera” (come quella degli aerei), in grado di registrare tutto quanto è stato vissuto in termini di intelletto e di emozioni. Noi oggi abbiamo internet e la possibilità di fare upload e download di informazione a velocità-luce. Non mi meraviglierei che tutte le informazioni raccolte dalla cosiddetta “anima” possano essere costantemente caricate in maniera non-locale su una “banca di memoria strategica” che amerei chiamare “Grande Biblioteca”. In tal modo nulla sarebbe perso, e ovviamente l’informazione raccolta potrebbe essere scaricata da chiunque possegga la tecnica per farlo in maniera razionale e non istintiva.

Forse intelligenze avanzate rispetto a noi di milioni o miliardi di anni potrebbero avere costruito questa specie di supercomputer non-locale fin da epoche remote, giocando al posto dei Bit 1 e 0 con le parti up e down (particelle virtuali) della schiuma quantistica, quella che rappresenta il “vuoto quantistico”, un vuoto da cui potrebbero essersi creati gli Universi come bolle, esattamente come il nostro, in questa e in altre dimensioni. Le anime verrebbero usate semplicemente come “sensori” per acquisire informazione, in maniera tale che tutte assieme arricchirebbero la coscienza dell’Universo nella sua globalità. Forse un modo per risvegliare un Dio addormentato facendogli assumere piena coscienza di sé.

Documentazione di pertinenza al tema discusso in questa intervista:
• Hameroff, S. – Quantum Consciousness: quantumconsciousness.org
• Mc Taggart, L. (2008). Il Campo del Punto Zero – Alla scoperta della Forza Segreta dell’Universo. Macro Edizioni.
• Penrose, R. (1992). La Mente Nuova dell’Imperatore. Rizzoli, Milano.
• Radin, D. (2006). Entangled Minds – Extrasensory Experiences in a Quantum Reality. Pocket Books.
• Teodorani, M. (2006). Bohm – La Fisica dell’Infinito. Macro Edizioni.
• Teodorani, M. (2006). Sincronicità – Il Legame tra Fisica e Psiche da Pauli e Jung a Chopra. Macro Edizioni.
• Teodorani, M. (2007). Entanglement L’Intreccio nel Mondo Quantistico: dalle Particelle alla Coscienza. Macro Edizioni.
• Teodorani, M. (2008). La Mente di Dio. DVD. Macro Edizioni.
• Teodorani, M. (2012). Il Carteggio Genesis – Un Progetto Strategico per lo Studio Sistematico e Multi-Spettro della Fisica di Frontiera. E-Book Scribd: it.scribd.com

Tratto da: Rivoluzione Culturale EVIDEON – Trimestrale

megachirottera.blogspot.it