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view post Posted on 4/12/2015, 17:10

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L’Occidente senza katechon. E i suoi boia
di Maurizio Blondet – 28 novembre 2015

Qualche giorno fa quattro ex piloti di droni per conto dell’Air Force hanno scritto una lettera aperta al presidente Obama per dire tutto l’orrore di esecutori del programma di assassini mirati dal cielo, dal presidente comandati. Ne hanno descritto la crudeltà e la bassezza. Dal loro schermo in Virginia, uccidono persone in Afghanistan, Pakistan Irak, migliaia di chilometri di distanza. Uccidono soprattutto civili, secondo liste preordinate basate su informazioni di intelligence approssimative; spesso quelli che uccidono sono palesemente innocenti che nulla hanno a che fare col terrorismo islamico.

“I droni sono buoni ad uccidere persone, solo non quelle giuste – Ci sono quindicenni che non hanno vissuto un giorno senza droni sul capo – espatriati che vedono ogni giorno le violazioni che stanno succedendo nei loro paesi, e si radicalizzano – se ammazzi il padre, lo zio o il fratello di qualcuno che nulla ha a che fare con niente, le loro famiglie vorranno vendetta”.

I quattro hanno cercato di giustificare la loro disobbedienza adducendo l’inefficacia delle loro uccisioni: il sistema crea più terroristi e islamisti di quanti ne faccia fuori. Ma è la coscienza che, col tempo, gli ha reso rivoltante fare quello che fanno ogni giorno lavorativo, dal video. Anche perché, contrariamente al pilota da caccia e al bombardiere, loro vedono la carneficina che provocano quando premono il pulsante. Su teleschermo a colori, vedono la donna col burka che si dissangua, la vecchia corriera o il pickup centrato che prende fuoco, i morenti che ne escono e cadono subito, spargendo un lago rosso, i corpi carbonizzati che fumano e si muovono ancora Il pilota vero passa sulle esplosioni a 500 all’ora ad alta quota; il drone sorvola quasi fermo il posto della strage, ne rimanda le immagini nell’ufficio in Usa, alle scrivanie con la tazze di caffè di Starbuck.

Gli operatori di droni sono fatti entrare in un mondo dove si incoraggia la callosità, dove la cultura istituzionale consiste nel negare l’umanità della gente che appare sui loro schermi. “Sparargli era qualcosa di lodevole, per cui ci incoraggiavano ad impegnarsi”. Uno di loro, si chiama Michael Haas, ha detto che è stato rimproverato dai superiori perché, incaricato di addestrare una giovane recluta, l’aveva scartata perchè “assetata di sangue”: sono gli assetati di sangue che ci servono!

Non si diffondono notizie su questi boia stipendiati dallo stato per compiere omicidi extragiudiziali. Sono tenuti al segreto militare. Solo che non sono al fronte. Ogni mattina “escono di casa, guidano tre minuti, entrano in una scatola metallica e di colpo è come essere sul teatro operativo” in Afghanistan o Irak. Il “pilota” ha guidato un Global Hawk, un mega-drone grande come un Boeing 747 da ricognizione che dicono disarmato, oppure un Predator con missili e cannoncino per fare stragi? E’ tutto lavoro. “Piloti la tua missione, esci dalla scatola e sei di nuovo in North Dakota”. A pochi chilometri dal primo Walmart e dal ristorantino cinese. Il punto è che “torni a casa, ceni con tua moglie e i figli, e non puoi dire loro niente di quel che hai fatto”. Sei a casa e fai il sicario per il Pentagono. A tremila chilometri. Nessuno te lo rimprovererà mai, anzi sei in carriera automatica.

Però un rapporto del Dipartimento della Difesa ha scoperto che i “piloti in poltrona ergonomica” soffrono disturbi psichici post-traumatici nella stessa misura dei soldati sul terreno, suicidi compresi. I quattro che hanno parlato raccontano il diffuso abuso di alcol e droghe fra i piloti sedentari. Spesso, raccontano, si drogano “con sali da bagno (sic) e marijuana sintetica per evitare potenziali test antidroga”. Moltissimi “volano” le loro missioni in stato di intossicazione. “Serve per piegare la realtà e immaginarti che non sei tu lì a farlo”.

Anche Haas s’è rifugiato nell’alcol. Un altro dei quattro, Brandon Bryant, s’è dimesso nel 2012. Come mai, racconta: “Un giorno, premo il bottone. L’edificio crolla. C’era un bambino che stava entrandovi, ed è scomparso. ‘Ho ammazzato un bambino?’, ho chiesto al collega che era a fianco a me. “Eh sì…”. I piloti hanno sul monitor una finestra dove possono fare “chat”, mandare mail eccetera. “Era un bambino?”, ha scritto Bryant. “Allora qualcuno che non conosco, qualcuno che siede in qualche centro di comando altrove nel mondo, e aveva sorvegliato il mio ‘lavoro’, ha risposto: no, era un cane. Ho riguardato la registrazione del video col collega. Un cane con due zampe?”.

I quattro si chiamano Michael Haas, Brandon Bryant, Cian Westmoreland e Stephen Lewis. La loro lettera aperta è stata ripresa da diversi media, sono stati intervistati dal Guardian. Il pubblico americano dunque sa quello che il loro democratico stato fa ogni giorno, in uffici riscaldati o con l’aria condizionata, con la macchinetta della Coke nel corridoio.
Ora, chiedetevi se l’Occidente è più civile del Nazismo, dove almeno i cittadini davvero “non sapevano, scusa che però non viene accettata come valida. Se la democrazia universale non è equivalente al mondo sovietico.

Il precedente storico

Un vecchio cekista, oggi pensionato di Stato: “Quando mi hanno assunto all’NKVD mi sentivo terribilmente fiero. Con il mio primo stipendio mi son comprato un bel vestito. Un lavoro come quello…si può paragonare solo alla guerra. Ma la guerra non è così stancante. Quando spari a un tedesco, lui urla in tedesco. Invece…loro urlavano in russo…come fossero dei nostri…Fucilare dei lituani o dei polacchi era più facile. Ma loro, urlavano in russo: ‘Bestie! Idioti! Fatela finita in fretta!”. Cazzo! E noi eravamo tutti coperti di sangue…ci asciugavamo le mani nei capelli. A volte ci fornivano dei grembiuli di cuoio. Per noi era un lavoro…sono un soldato, io. Se mi danno un ordine lo eseguo. Fucilavo. Dei sabotatori. (…) La cosa più sgradevole è sparare su qualcuno che ride. O è impazzito o ti disprezza (…). Non si deve mai mangiare prima di affrontare questo lavoro. Io non ce la facevo…e si ha sempre sete…si desidera solo acqua, acqua…come dopo una sbronza. Cazzo! Alla fine della giornata ci portavano due secchi, uno pieno di vodka e uno di acqua di colonia. La vodka ce la davano dopo il lavoro, mai prima. Ci si lavava con l’acqua di colonia fino alla cintura. Il sangue ha un odore particolare…somiglia un po’ allo sperma. Avevo un cane da pastore, bene, quando tornavo dal lavoro, lui non mi si avvicinava (…) Lo fai inginocchiare e gli spari quasi a bruciapelo sulla tempia sinistra…vicino all’orecchio. Alla fine del turno la mano ti penzola come un vecchio straccio (…) Avevamo anche noi un piano da eseguire, come in fabbrica. All’inizio non ce la facevamo, Fisicamente. Allora hanno fatto venire dei dottori e hanno deciso di praticare dei massaggi ai soldati due volte la settimana. Massaggi alla mano destra e all’indice destro”.

Questo il vecchio dell’NKVD, un giorno domenicale,(erano rimasti in due nella dacia vuota) ha confidato a suo cognato. Parlava del lavoro di boia che faceva nel comunismo staliniano – l’ha riportato Svetlana Alekieievic in Tempo di Seconda Mano (Bompiani, pagina 396).

C’è una vera differenza con quello che l’America fa con la sua demokrazia? Sotto gli occhi e la complicità dell’Occidente- l’Occidente che siamo noi? Che ci crediamo laici, secolarizzati, illuministi e civili, al contrario dei tagliagole del’ISIS?

Una differenza con il Gulag e le esecuzioni alla Lubianka salta all’occhio: i boia americani uccidono a migliaia di chilometri di distanza. Gente straniera di cui non sentono la lingua. Non sentono l’odore del sangue. Non hanno bisogno del secchio di acqua di colonia con cui lavarsi fino alla cintura: un risparmio, per il Pentagono. Quando tornano a casa, il cagnolino non li evita, scondizola e si fa’ grattare la testa. Però sono assassini come quelli dell’NKV.E se il mandante di quelle atrocità era Stalin, se la responsabilità dei Lager – come ci ripetono continuamente – va’ ascritta ad Hitler e ai suoi ministri, e’ ad Obama che dobbiamo far risalire la responsabilità di quello che ordina di fare ai suoi soldati. E’ lui direttamente che approva le liste di quelli da eliminare – anche se le liste gliele dà la CIA, che non si sa in base a quale indizio decreta la morte di civili che abitano nel Khiber o sull’Hindu kush, o a Falluja.

Peggio: nel Terzo Reich, l’esercito regolare si astenne da questi “lavori”: erano affidati alla milizia di partito, le SS. Persino nell’Urss all’esercito non fu chiesto dii affondare le mani nel sangue dei fratelli fino al gomito; era lavoro del KGB; Ceka, Nkvd…In America, gli assassini sono soldati regolari. Piloti dell’Air Force messi ad ammazzare “terroristi di piccola statura”.

Se abbiamo accusato l’ideologia sovietico-marxista del Gulag e delle stragi segrete; se abbiamo accusato l’ideologia nazista dei Lager, dobbiamo accusare per questa strage inodore la Democrazia. La Democrazia di Mercato. Il regime della Libertà, dell’informazione, della trasgressione, dove c’è il diritto al piacere : anche gli assassini di cui Obama è il mandante – e li accettiamo come giusti, adatti alla nostra civiltà superiore.

Rispetto a quelle ideologie feroci, concrete e guerriere, l’Occidente uccide innocenti con viltà, i piloti di droni non rischiano, sono fuori dalla portata del kalashnikov afghano; e la vigliaccheria è un carattere perfettamente coerente con l’ideologia della democrazia – che “ripudia la guerra”, i cui giovani schifano il dovere militare. Viene insegnata nelle scuola, la vigliaccheria, viene insegnata nelle famiglie e sui “mercati” azionari.

E’ il risultato estremo di un prodotto molto vantato di questa “civiltà” : il positivismo giuridico. Quella dottrina – oggi totalitaria – che ha liberato la legge dal dover dipendere dal “diritto naturale”, ossia dai Comandamenti di Dio: oggi siamo liberi, il diritto è così libero che lo Stato può ammazzare e torturare chi vuole – basta che emani una legge secondo le procedure. In Usa, le leggi che permettono la tortura, i sequestri segreti di individui che scompaiono e di cui non si sa più nulla, l’incarcerazione indefinita senza processo a Guantanamo, sono state varate al parlamento. Complice dunque, non potrà dire “non sapevamo”.

E’ il trionfo della secolarizzazione compiuta : “Se Dio non c’è, tutto è possibile all’uomo”, come disse Dostojevski. Non c’è un limite legale, basta cambiare le leggi e ciò che era illecito – peccaminoso – diventa legale, dunque buono e giusto. “Ho obbedito alle leggi”, dicevano i nazisti, ma non furono giustificati dai vincitori. Ora i vincitori fanno lo stesso.

Liberatici di Dio, ci siamo assoggettati ai boia di Stato.

Credete che in Europa non succederà? Che non succeda già? Una mia conoscente, medico di base, dice che stanno varando una legge che vieterà l’obiezione d coscienza ai dottori; saranno obbligati a fornire aborto ed eutanasia, oppure verranno licenziati. Viviamo un “ordine giuridico” che elargisce tutte le libertà ai sodomiti e ai pervertiti, e toglie ai medici la libertà di seguire la coscienza ed obbedire al Giuramento di Ippocrate, che proibisce – non dai tempi di Cristo, ma da sei secoli prima – ai medici di dare la morte.

Hollande, per salvare la Francia, si è appena dato la facoltà di violare la Convenzione dei Diritti dell’Uomo. L’ha fatto con un atto formale, un avviso al Consiglio d’Europa. Quindi la legalità è salva.

La “patria dei diritti dell’uomo” e del cittadini (Rivoluzione francese, Dichiarazione 26 agosto 1789) li straccia. Potrà calpestare a suo arbitrio “la libertà d’espressione (art.10), di riunione e d’associazione (11), il diritto ad equo processo (6), al rispetto della vita privata (art.8)”. Con un tratto di penna noi e voi non abbiamo più questi diritti che ci dicevano scolpiti nel bronzo della nostra Civiltà. La Francia potrà incarcerare senza processo e senza avvocati chiunque. Anche un avversario politico. Naturalmente ci lasciano tutte le altre libertà: “Esci, bevi ascolta musica parla mangia fa’ l’amore vai nuda”, come dice il manifesto che sta diventando famoso.

In USA invece i quattro piloti di droni che hanno denunciato gli assassinii del loro Stato hanno avuto bloccati i loro conti in banca e le carte di credito. Il governo federale li ha puniti con la fame. Non possono “vendere né comprare” perché non hanno più il segno della Bestia.

http://www.globalresearch.ca/drone-pilots-...-murder/5491576

E‘ la Demokrazia riscattatasi da ogni limite quella che viviamo: nessun Katéchon frena più nulla. Resta ancora da indagare l’accelerazione dell’ultimo quindicennio; che cosa l’ha prodotta? Una dottrina interna, esoterica a suo modo. Di questo, se interessa, alla prossima puntata.

Autore Originale del Testo: Maurizio Blondet

Nome della Fonte: Blondet e Friends

URL della Fonte (link): http://www.maurizioblondet.it/loccidente-s...-e-i-suoi-boia/

orso in piedi
 
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view post Posted on 7/8/2018, 10:08

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INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE

Pubblicato il: 31/07/2018

Marcello Foa ha la buona informazione nel sangue: venne assunto a Il Giornale da Indro Montanelli nel 1989, collabora con prestigiose testate, amministra un importante gruppo editoriale elvetico, ha scritto Gli Stregoni della Notizia (vedi NEXUS nr. 116).
Lo abbiamo incontrato a Lugano all'Università della Svizzera Italiana, dove insegna giornalismo
internazionale.

Professor Foa, quando si è reso conto la prima volta che l'informazione ci stava manipolando?
È una sensazione che ho avuto facendo il mestiere di giornalista, una sensazione crescente, essendo
stato per tanto tempo caporedattore per gli esteri e poi inviato speciale de Il Giornale; con il passare
degli anni mi rendevo conto sempre di più che le informazioni che noi davamo in buona fede, alla prova dei fatti, ovvero quando la verità storica veniva appurata dalle commissioni internazionali e dagli storici, o talvolta soltanto da dichiarazioni a breve termine, non corrispondevano o erano troppo distanti da quello che avevamo raccontato inizialmente con troppa sicurezza.
A quel punto ho cominciato a chiedermi com’era possibile che a sbagliarmi non fossi soltanto io come giornalista della mia testata, ma come simultaneamente si sbagliassero anche i redattori del NewYork Times, del Guardian, di Le Monde o di qualunque altra testata del mondo occidentale. È da lì che ho cercato di risalire alla sorgente per capire dove nascesse il problema. Facendo questo percorso a ritroso, mi sono reso conto dell'importanza e della potenza degli spin doctor.

Sono i mass-media che ci manipolano, oppure sono i mass-media ad essere manipolati?
Entrambi: i mass-media hanno ovviamente una capacità di condizionamento sulle masse perché alla fine il loro potere risiede proprio in questo, è evidente. A loro volta i mass-media sono manipolati, ma non penso che ci sia una costrizione diretta; questa è una mia convinzione che non tutti condividono. A me non è mai capitato in trent’anni di mestiere che mi chiamasse un ministro oppure un'ambasciata per dirmi di pubblicare o non pubblicare, non ho neanche ricevuto allusioni, perché questo è troppo sciocco come metodo per essere efficace.
Credo sia molto più un condizionamento di sistema, ovvero che ci siano dei vincoli impliciti che un giornalista sente e a cui si adegua; altre forme di condizionamento efficaci sono quelle che agiscono sulle fonti. Esemplifico: se tu devi verificare una notizia e devi rivolgerti a qualcuno che deve dirti se la notizia è vera, a chi ti rivolgi? Ti rivolgi a quelle che noi consideriamo le rappresentanze della nostra sovranità popolare e della convivenza civile, ovvero alle istituzioni. È molto più facile manipolare la fonte dentro le istituzioni e fare in modo che la notizia abbia l'apparenza di un'attendibilità, di una certificazione sicura, piuttosto che andare a dire al giornalista devi pubblicare questo o quello. Questi sono metodi da dittatura o da stati autoritari. Ecco perché la manipolazione è molto sottile e qui si crea la catena. Tu manipoli o induci i media in una certa direzione, ed essi a loro volta indurranno l'opinione pubblica nella stessa direzione. È una catena in due passaggi.

I manipolatori sono coordinati tra loro?
I manipolatori, preferisco chiamarli spin doctor, all'interno di un governo lo sono e il coordinamento fra di loro è una componente fondamentale, ma da qui a dire che ci sia una specie di Spectre globale forse è un po’ esagerato. Può esserci una serie d’interessi condivisi, questo sì, ma lo spin doctor di solito tende a gestire dei singoli progetti che certamente rientrano in un contesto più ampio, probabilmente sono collegati e funzionali a certi scopi, ma non mi immagino coordinamenti di certe campagne così lontane, non c'è né neanche bisogno.
Facciamo un esempio non politico, chiamiamolo neutrale: Ebola.
Qui è successa una cosa di questo genere: non ne parlava nessuno, poi nella primavera dell'anno scorso si sono visti i primi segnali di una certa sensibilità al tema, poi ad un certo punto quando il Presidente Obama se ne è uscito con una dichiarazione molto allarmistica, la crisi di Ebola ha avuto un'impennata incredibile sulla visibilità mediatica; poi, improvvisamente, è andata giù e oggi non ne parla più nessuno. Non sappiamo che fine abbia fatto questa Ebola.
Sviluppi simili li ho riscontrati diverse volte nella mia vita professionale. Questa è la prova che quando ad aprire i canali è un'istituzione credibile e influente, i media per forza seguono. Quando questa istituzione non parla più di quell'argomento, l'attenzione scende e va giù.

Comunque, nel frattempo, nel caso di Ebola diversi governi hanno dato sostanziosi finanziamenti alle multinazionali farmaceutiche. Non è che lo scopo primario di queste notizie allarmistiche fosse proprio questo?
No, a mio avviso questo è un corollario, primario non direi.

Come nel caso dell'epidemia di febbre suina N1H1?
La suina a mio avviso aveva uno scopo sociale, l'allarme è stato diffuso nel pieno della crisi finanziaria del 2009, quando la gente cominciava ad assalire le case dei banchieri, negli USA e in Gran Bretagna.
La sensazione era che la situazione sociale potesse degenerare, in quel momento era importante far
emergere una nuova paura che facesse leva sulla peste. La paura della peste è inconscia nella nostra memoria, sono passati non so quanti secoli, però ancora oggi noi abbiamo paura della peste. Questa era una malattia che aleggiava nell’aria, trasmissibile con uno starnuto e certificata dalle istituzioni che hanno alimentato l’angoscia collettiva; ti consigliavano le mascherine, aumentavano gli allarmi, modificavano i parametri, ecc. In questo modo la paura si è spostata dalla crisi economica alla febbre suina, e le istituzioni che prima erano viste come nemiche sono state riviste come amiche. Che poi a distanza di mesi si sia rivelata come una bufala totale non ha importanza, perché la gente ha una memoria molto corta, e gli spin doctor questo lo sanno bene.

È stato Edward Bernays l'inventore della manipolazione?
Se andiamo a ripercorrere la storia della propaganda e della manipolazione ci accorgiamo che è un
fenomeno che esiste da sempre. I romani in questo erano abilissimi con il loro panem et circenses e
possiamo vedere che in ogni comunicazione pubblica c'è una piccola o grande dose di propaganda.
Quello che Bernays ha capito è stata la potenza straordinaria dei mass-media in un contesto democratico.
Il rischio maggiore e anche il mio più grande rammarico è che una bella realtà come la democrazia, in cui si dà al popolo la possibilità di esprimere la propria volontà, possa essere orientata e manipolata in origine senza che il popolo stesso ne sia consapevole. Da questo punto di vista Bernays, persona di un'intelligenza superiore, nipote di Freud, ha fatto scuola.

Così come vengono pianificati i complotti, viene anche progettata l'informazione?
Parlando genericamente è evidente che una qualsiasi forma di comunicazione complottista o non
complottista comporta una gestione attiva e intelligente dell'informazione, questo è chiaro, mi sembra abbastanza ovvio. In un caso come quello dell'omicidio di J.F. Kennedy mi sembra evidente, nel caso dell’11 settembre 2001 ci sono state delle fortissime omissioni. In tutti questi gravi fatti il ruolo dell'informazione è un tassello fondamentale.

Come si può stimolare nei giornalisti il desiderio di capire questa rappresentazione virtuale senza senso, questa manipolazione?
Il problema è che i giornalisti sono vanitosi; da un lato si considerano degli eroi, dall'altro devono vivere e sono attratti dal potere. Il giornalismo ha un'insidia, è la velocità con cui le informazioni sono diffuse e i frenetici cambiamenti di ritmo e di attenzione.Mi spiego. Guardiamo ad esempio cosa è successo in questi ultimi giorni: grande attenzione per le stragi in Tunisia, Francia e Kuwait; il giorno seguente esce la rottura di Tsipras con l'Unione Europea; lunedì crollo dei mercati finanziari. In quattro giorni abbiamo avuto tre eventi molto grandi, il giornalista vive l'adrenalina di questi momenti, e quando uno vive in questa situazione è difficile indurlo ad una autocritica oggettiva di quella che è la sua professionalità. Più volte in passato, invitato da scuole di giornalismo, ho tenuto brevi corsi sugli spin doctor, ogni volta suscitando emozione e perplessità nei giovani giornalisti perché si rendevano conto che certe interpretazioni erano un po’ diverse da quelle canoniche. Secondo la mia visione, la conoscenza delle tecniche di spin dev’essere una caratteristica fondamentale nel bagaglio culturale di ogni giornalista. La realtà mi dimostra che i giornalisti non sono consapevoli di queste tecniche. E così, non essendo consapevoli, prestano il fianco a una collaborazione inconsapevole che rende lo spin veramente efficace. Questo è un punto molto sensibile.

Come lei insegna, ad un organo d'informazione arrivano anche 10mila lanci notizia al giorno:come disintossicarsi e discriminare in questa valanga?
Questo è difficile, il disintossicarsi: dipende che ruolo si ha. Anche se arrivano così tanti lanci di agenzia, i giornalisti alla fine si copiano. Se ad esempio lei è al TG1 guarda quello che fa il TG5, se lavora al Corriere della Sera andrà a guardare quello che fa La Repubblica e così via. Ci sono delle testate che sono leader, spesso faccio i giri e vedo che le home page dei siti sono molto simili, cambiano pochissime notizie e comunque i titoli delle notizie più importanti sono simili. Questo è un problema per i giornalisti, perché alla fine questo fenomeno di imitazione e di auto-conforto, dato che se uno fa quello che fanno gli altri in fondo è tranquillo, secondo me, toglie il sale del giornalismo.
Oggi il giornalismo dovrebbe essere il contrario, ovvero dare una stringata selezione delle notizie, e poi fare un giornalismo che sia non sensazionalista ma interpretativo e investigativo, che abbia il coraggio di mettere opinioni controcorrente e autorevoli. Ma tutto questo non mi sembra che sia in corso.

La nostra democrazia occidentale è già come un reality televisivo?
In buona parte sì; la Svizzera per fortuna è ancora uno dei pochi paesi autenticamente democratici, però che non sia priva di condizionamenti esterni l'abbiamo visto sulle questioni del franco svizzero e del segreto bancario. Se vediamo la situazione negli altri Paesi europei, il quadro è ancora più preoccupante.
Questo perché oggi quando lei è al governo non ha più la vera sovranità, pur mantenendo le vestigia della rappresentazione del potere; se vuole mettere certe regole di politica economica, non può farlo perché l'Unione Europea dice di no. Se lei vara delle leggi che sono in contrasto con la normativa europea, la normativa italiana decade automaticamente. Lei non controlla più le frontiere, non controlla più la moneta, su diversi livelli di normativa lei dipende sempre da istituzioni sovranazionali. Ma allora chi ha il potere oggi che cosa può fare? Può fare ben poco perché, alla fine, ha le mani legate. A me Tsipras non mi ha mai convinto ma in questi giorni lo considero un piccolo eroe, benché forse la sua strategia non sia quella ottimale, però è uno che ha detto “io mi ribello al diktat e chiedo al popolo che sia lui a decidere”. Il fatto che un leader politico debba ribellarsi per delle cose che dovrebbero essere di competenza del suo Paese la dice lunga sul grado di libertà e di indipendenza dei governi in Europa.
Il problema di fondo è che i Paesi europei hanno perso la loro sovranità, la politica viene fatta da
personaggi che la popolazione non conosce, che non sono stati eletti da nessuno e che non devono
rispondere a nessuno.
Ma dov’è il vero potere in Europa? È nei commissari? In parte sì e in parte no. Già il processo decisionale in Europa è estremamente complesso. È un magma e dentro a questo ci sono dei gangli vitali in cui, probabilmente, i lobbisti, i direttori, gli alti funzionari hanno un potere di condizionamento molto forte. Perciò i commissari e i leader europei che partecipano ai consigli hanno la parvenza del potere ma, in realtà, a loro volta non sono così liberi di decidere. Ad esempio, nelle tre ore di riunione di un summit europeo i rappresentanti dei singoli paesi hanno tre/quattro minuti a testa in cui si limitano a delle dichiarazioni o a mettere l'accento sulle virgole ma, di fatto, la decisione di fondo è già presa. I capi di stato e di governo devono solo ratificare le decisioni che sono prese altrove. Dove? Questo non si sa, ma questo processo di sottrazione e di distruzione della sovranità statale, della democrazia rappresentativa, dello stato di diritto, della libertà economica, delle conquiste sociali porta ad un effetto ultimo livellatore e per questo sono molto preoccupato.

(I lettori che desiderano possono seguire il blog “Il cuore del mondo” che Marcello Foa ha creato nel
2007 sul sito: http://blog.ilgiornale.it/foa/
Ricordiamo che il suo libro Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si
fabbrica informazione al servizio dei governi (2006, Guerini e associati editore) è stato adottato da 7 università.)

Articolo originariamente pubblicato su NEXUS nr. 118.
Autore: Giorgio Iacuzzo

orso in piedi

p.s. la colpa è solo nostra che non ragioniamo,non pensiamo,e ci beviamo tutto ciò che ci dicono i mass-media.
 
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view post Posted on 7/3/2019, 17:49

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A proposito delle accuse di Di maio e Di Battista contro il colonialismo della Francia in Africa.

Franco Cfa, “Per Macron si può uscire? Chi ci prova viene fatto fuori. Ora si pubblichino accordi di decolonizzazione”


Intervista all'economista Otto Bitjoka, presidente dell'Unione comunità africane d'Italia appoggia la battaglia contro quella che definisce la "moneta coloniale" che lega la Francia a 15 Paesi africani: "Falso che ci sia libertà di uscirne. Esempi? Cito 5 colpi di stato". L'appello al M5s per "una commissione d’inchiesta al Parlamento Ue” che renda pubblici i documenti e ricostruisca così "il sistema predatorio". E sulle migrazioni: "Quelle interne sono tante"
di Ruggero Tantulli | 8 Febbraio 2019


“Liberare l’Africa dal franco Cfa, moneta coloniale che ne impedisce lo sviluppo. E pubblicare gli accordi di decolonizzazione per ricostruire il sistema predatorio che impoverisce tutto il Continente, anche attraverso una commissione d’inchiesta al Parlamento Ue”. A chiederlo è Otto Bitjoka, economista e presidente dell’associazione panafricanista Ucai (Unione comunità africane d’Italia), raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it. Afro-italiano, da 40 anni a Milano e laureato alla Cattolica, Bitjoka è stato amministratore delegato di una banca in Camerun ed è il fondatore di Extrabanca, istituto per stranieri in Italia. Sostiene la necessità di eliminare il franco Cfa, “simbolo di colonizzazione” dal quale a suo parere è oggi impossibile liberarsi, nonostante il presidente francese Emmanuel Macron abbia più volte ribadito che quella dei Paesi africani è un’adesione volontaria: “Dimentica che chi ha provato a uscirne è stato ammazzato o deportato mentre nel suo Paese era in atto un colpo di Stato“. Bitjoka considera “una balla” anche dire che “non si scappi da questi Paesi” perché “le migrazioni interne all’Africa sono tantissime”.

Il franco Cfa, l’argomento al centro dello scontro tra Roma e Parigi dopo le dichiarazioni in particolare del vicepremier Luigi Di Maio e dell’ex deputato Alessandro Di Battista, è la moneta stampata in Francia e adottata da 15 Paesi dell’Africa subsahariana, che formano la cosiddetta ‘zona franco’. Tutte ex colonie francesi, tranne la Guinea-Bissau, ex colonia portoghese, e la Guinea Equatoriale, ex colonia spagnola. Il Cfa indica due valute. Nella prima (Uemoa), che copre la zona dell’Africa occidentale, rientrano Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. Nella seconda (Cemac), che copre la zona dell’Africa centrale, rientrano invece Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo. I Paesi sono 15 con le Isole Comore, indipendente dal 1975 dalla Francia. Nella ‘zona franco’ vivono quasi 200 milioni di abitanti. Istituito il 26 dicembre 1945, alla firma degli accordi di Bretton Woods, come franco delle colonie francesi d’Africa (Fcfa), nel 1958 è diventato Cfa (franco della comunità francese d’Africa, oggi Comunità finanziaria africana).

Signor Bitjoka, partiamo dalla fine. Ha manifestato apprezzamento per la posizione del M5s sul franco Cfa. È una scelta politica?
“No, io sono indipendente e senza alcuna tessera di partito. Non sono grillino, ma quelle portate alla luce dai Cinquestelle sulla moneta coloniale sono verità e non posso che sostenere chiunque porti avanti queste battaglie”.

Lei ha parlato di ‘moneta coloniale’, ma le colonie non esistono più. Perché?
“La decolonizzazione non c’è mai stata, i cambi di nome sono un imbroglio semantico. La moneta è un simbolo di colonizzazione e danneggia anche concretamente i Paesi che la adottano”.

In che modo?
“Prima devo spiegarle le caratteristiche del Cfa: tasso fisso, stabilità dei prezzi, convertibilità garantita dal Tesoro francese nei confronti dell’euro e libertà di trasferimento, in entrata e in uscita”.

Queste possono essere anche caratteristiche positive.
“Non è detto, dipende dai punti di vista. Ci sono diversi problemi, a partire dal cambio fisso. La ‘zona Franco’, che produce quasi il 12% del Pil africano, non ha alcun vantaggio competitivo con la globalizzazione: dal momento che il cambio è fisso, non si può svalutare. Non c’è una politica di cambio e quindi manca la competitività. Poi c’è un altro grande limite”.

Quale?
“I depositi in valuta sono presso il conto d’operazioni del Tesoro francese, che detiene il 50% delle riserve valutarie. Se la Costa d’Avorio vende cacao per un miliardo di euro, mezzo miliardo deve restare come riserva valutaria al Tesoro francese. Non bisogna dimenticare, poi, che la Francia ha il diritto di prelazione su tutto e determina anche il prezzo che più le conviene”.

Lei vorrebbe eliminare questa moneta?
“Sicuramente. La moneta garantisce un’inflazione controllata, ma non una politica monetaria espansiva. Le valute delle due aree, tra l’altro, non sono intercambiabili, quindi se vado in Senegal con i soldi che si usano in Camerun non posso far niente, se non cambiarli. Se proprio dovesse rimanere, bisognerebbe almeno fare una modifica”.

Quale?
“Agganciare il franco Cfa a un paniere monetario, allargando lo spettro rispetto al solo euro. Se il cambio fisso fosse anche con altre monete, per esempio dollaro, yen e yuan, potremmo trattare con altri Paesi usando direttamente dollaro, yen o yuan, senza passare per l’euro”.

Molti, però, a partire da Macron, dicono che l’adesione al franco Cfa è stata volontaria. E che è possibile abbandonarlo, se si vuole.
“Macché. Chi lo dice dimentica che chi ha provato a uscirne è stato ammazzato o è stato deportato mentre nel suo Paese era in atto un colpo di Stato. Se c’è tutta questa libertà perché la Francia ha convocato l’ambasciatrice italiana Teresa Castaldo per chiarimenti?”

Quali sono gli esempi a cui fa riferimento?
“Ce ne sono tanti, ma le cito solo questi. Nel 1963 Sylvanus Olympio, primo presidente eletto del Togo, si rifiuta di sottoscrivere il patto monetario con Parigi e dispone una moneta nazionale. Tre giorni dopo viene rovesciato e assassinato in un colpo di Stato condotto da ex militari dell’esercito coloniale francese. Nel 1968 Modibo Keita, primo presidente della Repubblica del Mali, annuncia l’uscita dal franco Cfa, ma subisce un golpe guidato da un ex legionario francese. Ancora, nel 1987 Thomas Sankara, primo presidente del Burkina Faso indipendente, viene detronizzato e ucciso subito dopo aver dichiarato la necessità di liberarsi dal franco Cfa. Nel 2011 il presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, decide di abolire il Cfa sostituendolo con la Mir, Moneta ivoriana di resistenza. Ma le forze speciali francesi lo arrestano dopo aver bombardato il palazzo presidenziale. Questa è storia, per non parlare di Gheddafi”.

C’entrava il Cfa anche con la deposizione di Gheddafi?
“Certo. Nel 2011, quando è stato ammazzato, c’era proprio la questione della sovranità monetaria in ballo. Lui voleva creare una nuova valuta panafricana, il dinaro libico, sostenuta dalle ingenti riserve auree di Tripoli, proprio in alternativa al franco Cfa. Gheddafi e l’Unione africana avevano già deliberato la creazione di un Fondo monetario africano con sede in Camerun, di una Banca africana di investimento in Libia e di una Banca centrale africana in Costa d’Avorio”.

Secondo lei, quindi, gli accordi tra la Francia e i Paesi della Françafrique non sono stati presi in una condizione paritaria?
“Certo che no. Infatti quello che chiedo è che gli accordi di decolonizzazione siano resi pubblici. Sono segreti e vogliamo che vengano desecretati, per ricostruire il sistema predatorio. Anzi, faccio un appello ai Cinquestelle: chiedete l’istituzione di una commissione d’inchiesta al Parlamento europeo per desecretare gli accordi di decolonizzazione. Anche François Mitterrand e Jacques Chirac lo avevano detto, che senza l’Africa la Francia sarebbe in un mare di guai”.

Leggendo i dati sulle migrazioni, però, si evince che solo una piccola quota di migranti che arrivano in Italia proviene dalla ‘zona franco’. Come mai?
“Questo non vuol dire niente. Le migrazioni interne all’Africa sono tantissime: è una balla dire che non si scappi da quei Paesi. Solo il Camerun ha 250mila rifugiati, molti africani emigrano in Sudafrica. Migrare è cercare di migliorare le proprie condizioni, è un ‘welfare shopping’ che vale per tutti gli uomini, anche per gli italiani che vanno a Londra. I Paesi della zona franco sono tra i più poveri del mondo, ma se ci fosse la sovranità monetaria si potrebbe avere sviluppo, creando lavoro e quindi ricchezza”.

Però in Africa non ci sono solo i francesi. I problemi sembrano venire anche da altri, pensiamo ai cinesi.
“Sì, ma nella ‘zona franco’ i problemi partono dal controllo francese. Una volta resi pubblici i contratti di decolonizzazione, come dicevo, potremo ricostruire il sistema che consente di depredare l’Africa, perché lì ci sono Paesi ricchissimi di materie prime. La Francia prende l’uranio in Niger. Poi l’Italia compra l’energia dalla Francia. Tutto il Golfo di Guinea è ricchissimo, lì c’è di tutto. In Congo c’è l’80% di coltan di tutto il mondo: è un minerale necessario per produrre i cellulari. In Costa d’Avorio c’è il cacao e così via. È chiaro che la liberazione deve avvenire non solo a livello monetario”.

Cosa intende?
“Anche dal punto di vista sociale, linguistico e spirituale. Lo swahili per esempio è diventato lingua ufficiale riconosciuta dall’Unione africana. La spiritualità, poi, aggrega molto: il Vangelo è stato usato come strumento di colonizzazione. Bisogna rivedere tutto il sistema”.

Anche l’Italia ha avuto delle responsabilità in Africa, però.
“L’Italia ha avuto un colonialismo straccione e le sue responsabilità sono limitate. Poi ognuno fa i conti con la propria coscienza”.

E l’Eni?
“L’Eni, che pure ha le sue responsabilità, è un gruppo che fa parte dell’aristocrazia capitalista. Noi dobbiamo concentrarci sul franco Cfa e fare pressione affinché la Francia ci lasci stare. Dovrebbe fare come il buon padre di famiglia: lasciare che i suoi figli si emancipino”.

Poi però ci sono anche le responsabilità degli africani. I casi di corruzione sono moltissimi.
“Molti presidenti sono corrotti e permettono la rapina di risorse. Ma a questo penseremo una volta liberati. Gli africani vogliono questo e lo dimostra il fatto che lì le tv stanno parlando del caso sollevato dall’Italia. Siamo determinati e lotteremo”.

fonte https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/0...azione/4932907/

Non mi sembra che sui TG e giornali "di stato",queste notizie vengano minimamente accennate.

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OMAGGIO A GBAGBO, EROE DELL'AFRICA MODERNA: CORTE PENALE INTERNAZIONALE, ISTITUZIONE RAZZISTA?

Pubblicato il: 18/03/2019

Tra il suo arresto avvenuto l'11 aprile 2011 in seguito ai bombardamenti dell’aviazione francese e il suo trasferimento alla Corte penale internazionale dell'Aia, durante i suoi otto mesi di detenzione a Korhogo (nel nord della Costa d’Avorio), non c'erano solamente Ivoriani a difenderlo senza sosta, ma anche Camerunensi e altri Africani. Dal 16 aprile 2011 manifestavano a Parigi, in Place de la Bastille, per gridare la loro solidarietà nei suoi confronti. Al contrario i rari esponenti politici che lo avevano difeso prima della sua caduta, si erano in seguito messi a tacere per non dispiacere alla Francia, nazione che celebrava in pompa magna l'arrivo del suo prefetto “negro” (Alassane Ouattara), che avrebbe reinserito la Costa d'Avorio nell'ovile della “françafrique”, da cui Laurent Gbagbo aveva faticosamente cercato di uscire. La Costa d'Avorio così, era tornata al punto di partenza.

I volti della resistenza all'ingiustizia

Ci è voluta la tenacia di questi piccoli gruppi di Ivoriani e Africani spinti dalla stessa volontà, uniti nella stessa lotta, camminando per le strade delle città europee e facendo seguaci negli Stati Uniti e in Canada, per far sì che il soggiorno di Laurent Gbagbo all'Aia non si svolgesse nel silenzio e nell'indifferenza delle nazioni di tutto il mondo.

Ci sono voluti anche il talento e l'abilità di giornalisti investigativi, come Théophile Kouamouo, Charles Onana, Gregory Protche e Thierry Avi (autore in Italia, con lo pseudonimo Tony Akmel del libro “La Francia in Costa d’Avorio: guerra e neocolonialismo dal 19 settembre 2002”) per dipingere la profonda ingiustizia subita dal prigioniero della CPI.

Ci sono voluti il talento e l'abilità di un piccolo ma ardente esercito di bloggers affinché i crimini passati e presenti del nuovo potere ivoriano potessero venire alla luce in tutto il mondo e diventare persino elementi di riferimento per la difesa dell'illustre prigioniero.

Nella loro dura e lunga battaglia, questi difensori di Laurent Gbagbo e per il rispetto della costituzione ivoriana furono confortati da due eccellenti film-documentari. Il primo, “Laurent Gbagbo nel turbine del Golfo di Guinea”, trasmesso nel marzo 2011, un mese prima della sua caduta, che ha brillantemente dimostrato l'avidità della Francia per le immense ricchezze tuttora non sfruttate del Paese e la sua volontà di contrastare il piano di indipendenza economica sostenuto dall’allora presidente ivoriano.

Il secondo (La Francia in nero, di Silvestro Montanaro – Disponibile su youtube) è venuto dall'Italia, ed è stato un’inchiesta con lo scopo di fare luce su quello che era successo nell'ovest della Costa d’Avorio. Attraverso testimonianze rilasciate sul posto, questo film ci permette di scoprire come si è manifestata la complicità della Francia nei massacri di Duékoué e dintorni; quindi si capisce perché i giornalisti francesi si rifiutino di accettare la verità su questo episodio del dopo-voto.

Va precisato che nel settembre 2012, all’indomani della proiezione del documentario su Raitre, il programma “C’era una volta” di Montanaro fu sospeso e l’autore fu cacciato dalla rete televisiva nazionale.

Galvanizzati da un’ingiustizia flagrante, convinti della necessità di difendere la verità affinché la luce la renda visibile a tutti, gli ivoriani, i panafricanisti e i loro pochi amici europei non si sono arresi e non hanno smesso di moltiplicare le manifestazioni in Francia, in Italia e davanti alla Corte Penale Internazionale dell'Aia.

Si può dire che mai prima d'ora nella storia, un leader nero ha ricevuto così tanto sostegno dalla diaspora africana e tanta simpatia dal popolo dell'Africa nera. Patrice Lumumba, Kwamé Nkrumah, Sékou Touré, sono morti nel silenzio, anche se molti africani li hanno portati nel cuore.

Durante i suoi 27 anni di prigione, Nelson Mandela non ha mai goduto di una simile simpatia popolare. Va detto che i tempi sono cambiati: grazie a Internet, le informazioni circolano più velocemente, le menzogne sono segnalate e dimostrate più rapidamente. Ciò che si cerca di nascondere viene comunque in breve tempo portato sulla scena pubblica perché tutti i cittadini, ovunque nel mondo, sono diventati informatori. Ormai nessuno ha il monopolio dell'informazione. Ecco perché il brutale colpo di Stato contro Laurent Gbagbo, presentato dalla Francia e dall'ONU come impresa pubblica per la salvezza della democrazia, lo ha reso, in meno di due anni, l'eroe africano della resistenza all'imperialismo Francese.

L’accelerazione della denuncia dell'ingiustizia fatta a Laurent Gbagbo

Si può dire anche che la forte offensiva di resistenza al nuovo potere in Costa d’Avorio (governo “piazzato” da Nicolas Sarkozy negli stessi giorni in cui bombardava la Libia) e al muro di menzogne che nascondeva la verità sulla tragedia ivoriana ha sorpreso i comandatari e i governi europei durante il colpo di stato dell'11 aprile 2011. La popolarità di Laurent Gbagbo, fortemente radicata nel panorama politico di questo inizio del XXI secolo, ha costretto molte personalità politiche a guardare più da vicino il modo col quale gli fu strappato il potere e le conseguenze di questo crimine.

Nell'introduzione al libro di Charles Onana (“Costa d'Avorio, il colpo di Stato”), pubblicato nel novembre 2011, Thabo Mbeki, ex compagno di lotta di Nelson Mandela ed ex presidente sudafricano - uno dei primi mediatori tra le due parti del conflitto ivoriano - ha chiaramente dimostrato la ferma intenzione della Francia di liberarsi di Laurent Gbagbo e il prezioso sostegno che la patria della “grandeur” ha ricevuto dalle Nazioni Unite. Nel settembre 2012, al Congresso dell'Internazionale Socialista, in Sudafrica, il ghanese Kofi Awoonor aveva a sua volta castigato la passività dei socialisti francesi davanti al trattamento che Laurent Gbagbo aveva subito.

Nel dicembre 2012, infine, un socialista - François Loncle - ha rivelato l'attivismo corruttore della signora Alassane Ouattara presso i politici francesi; nello stesso periodo, Georges Peillon, ex portavoce della forza Licorne (l'esercito francese coinvolto nel conflitto ivoriano) riconosceva la parzialità del governo francese e dei media, a discapito di Laurent Gbagbo, nella vita politica della Costa d'Avorio dal 2002.

Se le confessioni e le critiche sono diventate sempre più numerose e hanno indebolito l’attuale potere ivoriano, minando il sostegno che ha sempre ricevuto dalla Francia, questo stesso potere appariva solido agli occhi dell'Europa grazie al silenzio dei media e del governo socialista (guidato da François Hollande), che aveva vestito i panni imperialisti lasciati da Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy.

Dal febbraio 2013 il processo che ha lo scopo di confermare o ribaltare le accuse del procuratore della CPI contro Laurent Gbagbo darà finalmente un nuovo impulso alla Resistenza ivoriana e africana e inizierà a scuotere l'attuale potere ivoriano e le “certezze” dei comandatari francesi e dell'ONU.

Questo processo si è rivelato una buona occasione per dimostrare che gli accusatori di Laurent Gbagbo non avevano argomenti per condannarlo. Quando una ribellione viene condotta per dieci anni contro un potere legittimo, uccidendo donne e bambini e quando, con l'aiuto di forze straniere, viene eseguito un sanguinoso atto finale per impadronirsi del potere, risulta ignobile accusare, chi ha subito la disfatta di aver resistito.

Va detto che Laurent Gbagbo fu eletto nell’ottobre 2000 in seguito a una consultazione regolare aperta a tutti, e il 19 settembre 2002, mentre era in visita ufficiale in Italia, uno sparuto gruppo di ribelli, con un armamento e un equipaggiamento sofisticati, tentarono di prendere il potere, causando più di tremila vittime tra morti e sparizioni. Il Paese rimase diviso in due (il nord controllato dai ribelli e il sud amministrato da Laurent Gbagbo) fino alle elezioni dell’ottobre 2010.
La propaganda straniera e la corte Internazionale



Sì, è stato ignobile, da parte delle forze straniere, accusare lo sconfitto di averle costrette, attraverso la sua resistenza, ad uccidere donne e bambini nella conquista del potere. Poiché tutte le immagini dell'attacco di Abidjan hanno rivelato solo crimini commessi dagli aggressori e dai loro sostenitori francesi, il procuratore ha dovuto ricorrere a documenti stranieri per illustrare la sua argomentazione, indebolendola allo stesso tempo. Come si può, in queste condizioni, condannare un uomo o addirittura tenerlo in prigione?

Di conseguenza, prima ancora che i giudici della Corte penale internazionale dichiarassero insufficienti le prove presentate dal pubblico ministero per chiedere la condanna di Laurent Gbagbo, risultava difficile per gli organizzatori della propaganda straniera nascondere la verità.

Le ONG si sono quindi unite alla difesa di Gbagbo, all'inizio di aprile 2013, ed hanno denunciato "la giustizia dei vincitori", mettendo in evidenza i crimini etnici, le esecuzioni sommarie, le cacce all'uomo e le detenzioni arbitrarie dei sostenitori di Laurent Gbagbo, operate dall'attuale governo, dal suo esercito e dalle sue milizie.

Senza dubbio, l'impunità degli uomini del nuovo regime ferisce la coscienza umana! Condannare Laurent Gbagbo per aver resistito all'attacco del nemico e vedere i veri carnefici del popolo ivoriano pavoneggiarsi sfacciatamente, mentre i media e i bloggers africani mostrano quotidianamente immagini dei loro crimini, è un'ingiustizia che offende mortalmente!

Dopo le ONG saranno i politici africani, finora silenziosi, a farsi sentire. Al summit dell'Unione africana di fine maggio 2013, il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn, presidente dell'organizzazione, ha descritto la CPI come uno strumento razzista al servizio degli occidentali: "Quando la CPI è stata creata, l'obiettivo era quello di evitare ogni tipo di impunità; ma ora il processo è degenerato in una sorta di caccia razziale"; Infatti, i circa trenta politici africani perseguiti da questa istituzione hanno confermato questa teoria.

La posizione dei politici africani sulla Corte penale internazionale è quindi più che chiara: non è imparziale, non è credibile: è razzista. E, dal 3 giugno 2013, dopo la sospensione per aggiornamento del processo e il rinvio del pubblico ministero alla ricerca di prove più convincenti, anche gli europei cominciano a dubitare dell'imparzialità di questa istituzione. I giornali francesi che, fino ad allora, non hanno prestato attenzione alle numerose marce a sostegno di Laurent Gbagbo a Parigi o all'Aia, né alle piogge di critiche rispetto all'ingiustizia dell'attuale governo ivoriano in merito all’analisi dei crimini commessi prima e dopo le elezioni, hanno improvvisamente iniziato a fare il “processo” alla CPI.

La prova che il vento ha cambiato verso e rivela gradualmente la verità è che in Francia addirittura i muti cominciano a parlare! Chi aveva mai sentito Koffi Yamgnane (franco-togolese, ex sottosegretario all’Integrazione sotto Mitterand) reagire alle ingiunzioni sprezzanti e ingiuste rivolte a Laurent Gbagbo prima e dopo le ultime elezioni presidenziali in Costa d'Avorio? Chi l'aveva sentito parlare di Laurent Gbagbo o mostrare simpatia da quando è stato arrestato nel palazzo presidenziale dall'esercito francese e dai ribelli di Alassane Ouattara? Incapace di parlare da solo, approfitta dell'indignazione di Bernard Houdin (consigliere di Laurent Gbagbo) per dire semplicemente anche lui, ciò che pensava, ossia, "basta", in quanto l'ingiustizia contro Laurent Gbagbo non poteva più continuare.

Ma aspettiamo di vedere se andrà oltre la semplice indignazione condivisa. Da parte sua, il presidente del Movimento degli Africani-Francesi, che si è sempre opposto alle marce a sostegno di Laurent Gbagbo e non vi ha mai partecipato, sta finalmente intraprendendo azioni specifiche per combattere l'imparzialità della CPI: sta lanciando una petizione per il ritiro delle nazioni africane da questa istituzione. L'intenzione è buona, ma detta istituzione ignora il fatto che la lotta politica viene combattuta con perseveranza e non saltuariamente.

In ogni caso, Laurent Gbagbo non lascia più nessuno indifferente, poiché quello che doveva essere il suo processo si è trasformato in un processo nei confronti dell’istituzione incaricata di giudicarlo. Che svolta! Non è già la vittoria della verità sulle bugie? In altre parole, la CPI si screditerebbe completamente agli occhi del mondo, mantenendo la sua volontà di giudicare Laurent Gbagbo. E’ obbligata a liberarlo e prendere tempo per rivedere il suo funzionamento in relazione all'analisi dei crimini e presunti criminali che deve giudicare.

Le nuove prove del pubblico ministero contro Laurent Gbagbo sono ritenute inammissibili dall'opinione pubblica internazionale e un eventuale processo sarebbe considerato un'ingiustizia. Arrestare i sostenitori di Alassane Ouattara attuale Presidente della Costa d'Avorio e portarli dinanzi alla CPI per giustificare la continuazione del processo è ormai impossibile. Questa mossa sarebbe percepita da tutti come un'ammissione dell'ingiustizia di cui Laurent Gbagbo è vittima da tre anni, o addirittura da quasi dieci anni (fu arrestato l’11 aprile 2011).

Laurent Gbagbo come il nuovo Nelson Mandela?

Che lotta lunga! Ma che lotta meravigliosa ed emozionante quando, come per miracolo, tutti la trovano giusta! Dopo Nelson Mandela, tutte le nazioni riconoscerebbero l'ingiustizia fatta a Laurent Gbagbo? Che bella vittoria in vista! I suoi sostenitori, panafricanisti, giornalisti attivisti in cerca di verità, bloggers instancabili, amici francesi - in particolare Guy Labertit, Michel Galy, Bernard Houdin e Albert Bourgi - e i suoi anonimi ammiratori che hanno vissuto nella paura, sono ora orgogliosi della loro lotta e felici di vedere qua e là delle richieste per la sua liberazione.

Gbagbo che, solo per amore della verità, ha giurato di andare fino in fondo e riesce con la sua tenacia nel rovesciare l'opinione pubblica e il sistema giudiziario internazionale che era determinato a metterlo nei guai, merita solo ammirazione e lode. L'ex primo ministro del Togo (1991-1994), Joseph Kokou Koffigoh, e l'artista beninese Yokula (reggaeman) l’hanno capito bene. Non sono rimasti insensibili a questo amore per la verità legato al cuore del prigioniero dell'Aia. Uno gli ha appena dedicato una bellissima poesia per chiedere la sua liberazione "dalle mani dell'infamia" e l'altro una canzone che rivendica il suo amore per la legalità costituzionale.

Laurent Gbagbo è passato alla storia perché ha dato la vita per la verità e per il rispetto della costituzione del suo Paese; è passato alla storia perché l'Africa ha riconosciuto nella sua lotta la propria. Aggrappandosi alla verità e alla legge, Laurent Gbagbo accettò di subire l'infamia di essere imprigionato nei gulag delle potenze occidentali. Come per tutti coloro che hanno dedicato la loro vita ai grandi ideali umani, affinché i loro simili crescano in una nuova luce, verrà l'ora della sua redenzione. Quanto a te, caro lettore, oppure te sorella/fratello africano non dimenticare che un giorno dovrai rispondere a questa domanda: che cosa hai fatto per sostenere la lotta dell'uomo che oggi viene ammirato?

NB.Il 15 gennaio 2019, Laurent Gbagbo, insieme al suo ex ministro della gioventù e degli sport sono stati assolti dal Tribunale presieduto dal giudice italiano Cuno Tarfusser dai crimini a loro imputati. Per rendersi conto della popolarità di cui l’uomo gode basta vedere i video degli Ivoriani che festeggiavano nelle strade del loro Paese, oppure degli Africani e Francesi che ballavano sotto la torre Eiffel; purtroppo gli è stato negato il rientro in patria. Oggi è in Belgio, libero sotto condizioni, una delle quali è quella di non lasciare la nazione europea che lo ospita, perché la CPI desidera che sia sempre reperibile. In ogni caso, se Gbagbo fosse tornato in Costa d’Avorio sarebbe stato sempre disponibile a presentarsi all’Aia, perché non è un codardo. In effetti, vita natural durante, Gbagbo non si è mai tirato indietro quando si è trattato di fare valere la legge.

Se il multipartitismo (disposizione prevista dalla costituzione che non veniva attuata) è stato applicato in Costa d’Avorio nel 1990, dopo trent’anni d’indipendenza dal primo presidente (il “dittatore illuminato” Felix Houphouet Boigny) è merito di Laurent Gbagbo, che non ha voluto scendere a compromessi, in altre parole, non ha voluto farsi “comprare” e non ha avuto paura di finire due volte in prigione (da studente universitario e da insegnante) su ordine di Boigny ed una terza volta nel 1992 su ordine di Alassane Ouattara (all’epoca Primo Ministro di Boigny). La lotta di Gbagbo non servì solamente al suo Paese, perché in quello stesso anno, molte nazioni africane ratificarono l’attuazione del pluralismo politico.



Thierry Avi, cittadino italo-ivoriano, ha scritto sotto lo pseudonimo di Tony Akmel questo volume che puoi trovare nel nostro catalogo online


fonte https://www.nexusedizioni.it/it/CT/omaggio...e-razzista-5888

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Chi sta facendo a pezzi i bambini?

AutoremarceellopamioPubblicato16 Settembre 2019

La StemExpress è una società che pochissime persone conoscono, eppure merita tutto il nostro interesse...
Si tratta del principale fornitore di «materiale biologico umano», cioè midollo osseo, sangue cordonale, sangue periferico, sangue materno, cellule primarie nonché teste di feti.
Riescono ad offrire un servizio completo ai propri ricchi clienti, dall’ordine alla consegna, garantendo la massima purezza e qualità dei campioni umani.
I loro clienti sono case farmaceutiche e università che useranno quei campioni per condurre ricerche e studi, per testare applicazioni e farmaci o per creare nuovi dispositivi diagnostici e chirurgici.

Nonostante sia nata da pochissimi anni (2010), la società sta cambiando l’intero settore globale, accelerando la ricerca e le sperimentazioni cliniche grazie all’implementazione dei loro centri di raccolta delle cellule staminali, ai laboratori di produzione cellulare e creando soprattutto la più grande rete globale di ospedali e cliniche tutte collegate tra loro.
Nel sito ufficiale si vantano dicendo che «riducendo il tempo necessario per raccogliere campioni o isolare le cellule primarie, possiamo aiutare a ridurre mesi e persino anni di un progetto».

La loro mission sarebbe quella di aiutare il mondo intero a guarire da tutte le malattie. Stupendo, ma cosa significa “ridurre il tempo di raccolta” dei campioni biologici, e soprattutto qual è il prezzo?

Dico questo perché qualche giorno fa, giovedì 5 settembre Cate Dyer, amministratrice delegata della StemExpress, ha dovuto ammettere in udienza che la sua azienda biotecnologica «fornisce a ricercatori medici cuori fetali battenti e teste fetali intatte», specificando macabramente che la testa del bambino poteva essere fornita ai ricercatori attaccata al resto del corpo oppure poteva «essere strappata via»…

Indagine giudiziaria
Per comprendere il quadro generale è necessario fare un saltino indietro nel tempo, quando tra il 2014 e il 2015 due giornalisti David Daleiden e Sandra Merritt - che lavorano per il Center for Medical Progress (Cmp) - sotto copertura fecero emergere uno scandalo vergognoso sulla compravendita di organi e tessuti di bambini abortiti. Al centro del mirino la tristemente nota «Planned Parenthood», l’organizzazione fondata nel 1939 che si occupa di fornire assistenza medica alle donne incinte.

Detto così sembra anche un scopo nobile, ma si tratta della potentissima organizzazione di cliniche abortiste americane (circa 860 nel territorio), che “vanta” 330.000 aborti annuali.
Numeri che fanno gongolare i dirigenti, nonostante si tratti di un vero e proprio olocausto!

In pratica Daleiden e Merritt erano riusciti a registrare dei video nei quali i responsabili della Planned Parenthood discutevano candidamente della vendita di organi fetali e pezzi umani vari a società biotecnologiche. Cosa questa vietatissima negli Stati Uniti, dove è possibile donare alla ricerca solo tessuto fetale.
La cosa incredibile è che dopo circa 5 anni dall’inizio delle indagini, sono riusciti a rovesciare il quadro e sotto accusa oggi non ci sono più i venditori di feti ma i giornalisti che hanno fatto lo scoop.
Sono accusati infatti di violazione della privacy e di aver registrato di nascosto, dando false generalità. Avete capito? Nonostante i 14 video che inchiodano questi delinquenti alle loro responsabilità, i colpevoli sono i giornalisti che hanno sputtanato il sistema diabolico...

Nei video si vedono questi venditori privi di anima, soffermarsi sul prezzo dei tessuti o delle teste di feti, mentre sorseggiavano un calice di vino o mentre mangiavano una bella insalatona!
Daleiden e Merritt sono stati sottoposti a una persecuzione giudiziaria: nel procedimento in corso a San Francisco rispondono in totale di 15 accuse di reato, di cui 14 per «registrazioni illegali» e una per «associazione a delinquere». Rischiano fino a 10 anni di prigione in base alla legge sulle registrazioni illegali, ed è la prima volta nella storia della California che un procuratore generale dello Stato (casualmente democratico e abortista convinto) persegue qualcuno ai sensi di quella legge e soprattutto che lo faccia a giornalisti sotto copertura!

In fin dei conti non è così strano l’accanimento nei loro confronti e la protezione del Planned Parenthood, perché questo gruppo fa parte del Sistema e riceve enormi finanziamenti annui da influenti e loschi individui: George Soros, Bill Gates (ha donato 14 milioni di dollari), Ted Turner, la Fondazione Buffet (Warren Buffet avrebbe dato 1,4 milioni), e moltissimi altri tra Fondazione Rockefeller e importanti società.
Recentemente il presidente Donald Trump ha cercato di far togliere i finanziamenti pubblici a Planned Parenthood, ma la “rete della morte” ha rinunciato a buona parte dei fondi federali piuttosto che rispettare la nuova regola imposta dall’Amministrazione che vieta loro di indirizzare le donne a un fornitore di aborto. Chiaro il messaggio?
Continueranno a spingere sempre più donne ad abortire e non certo per motivi etici o morali, o per far rispettare i diritti delle donne, ma solo per procacciarsi pezzi umani, teste, cuori pulsanti e organi vari da vendere alle ditte farmaceutiche e università.

A proposito di università, la Stanford è finita sotto l’occhio del ciclone per le sue ricerche sull’«apparato di perfusione cardiaca di Langendorff», in pratica è una tecnica in vitro usata in farmacologia e fisiologia che permette di esaminare la contrattilità e la frequenza cardiaca.
Per fare questo hanno bisogno di cuoricini caldi e soprattutto pulsanti.

La logica conseguenza di tutto questo è inquietante: se la StemExpress necessita di organi e cuori battenti per venderli, significa che hanno bisogno della materia prima: feti abortiti o feti da far abortire…
Questi guadagnano sulla morte di tantissime vite umane innocenti, come pure le industrie chimiche e le università.
Ma nonostante l'oscurantismo dei media e il boicottaggio delle Procure, non riusciranno a bloccare gli scandali della compravendita di organi e della pedofilia, che anzi continueranno a ritmo battente illuminando sempre quella parte oscura di mondo che di umano non ha più nulla...

Per approfondimento

Aborto a processo, venduti cuori e teste di bambini

https://www.lanuovabq.it/it/aborto-a-proce...este-di-bambini
 
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view post Posted on 25/4/2021, 17:12

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Per ricordare:
La massoneria in Italia.



Il crimine organizzato è l'unico,in momenti di crisi economica ,come quella causata dalla pseudo pandemia,ad avere le capacità di acquisto e/o finanziamento,ovviamente ad usura,alle imprese in difficoltà.
Ecco un atto aspetto da considerare.

orso in piedi
 
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view post Posted on 3/7/2021, 13:25

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Ecco cosa produce il nuovo capitalismo con il globalismo



Soluzione:l'economia umanistica

C'è molto da riflettere.

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